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Massimo Teglio
Aviatore per diletto, fu a capo dell’organizzazione di soccorso ebraica DELASEM a Genova. Travestito da altra persona, distribuì agli ebrei in pericolo, in tutta l’Italia settentrionale, soccorsi e denaro proveniente dall’organizzazione americana Joint.
Dopo che venni a sapere dell’eccidio di ebrei a Meina e della cattura degli ebrei a Roma, aumentò in me l’ansia che potesse succedere qualcosa di grave anche a Genova, ne parlai con il rabbino, Riccardo Pacifici, per convincerlo della necessità di chiudere la sede della Comunità. Lui si mostrò d’accordo con me”.
Così Massimo Teglio racconta, in una intervista del 1985, le avvisaglie della persecuzione che si sta per abbattere negli ultimi mesi del 1943 in tutta la sua definitiva ferocia anche sulla comunità ebraica di quella città fantasma, martoriata dai bombardamenti alleati che hanno costretto allo sfollamento migliaia di residenti.
Massimo Teglio è un temerario e generoso ebreo che vive a Genova, amante dell’avventura e dello sport. È aviatore provetto. In passato, ha gareggiato con il suo idrovolante con Italo Balbo, pilota e Ministro dell’Aeronautica, sui cieli d’Italia e della Libia.
A metà novembre del 1943, l’avvocato Lelio Vittorio Valobra, presidente dell’organizzazione di soccorso ebraica denominata Delasem si trova ancora a Genova, L’arcivescovo Piero Boetto ha acconsentito ad aiutare l’organizzazione di Valobra nell’accogliere in case religiose profughi ebrei stranieri e ha chiesto a don Francesco Repetto, suo segretario personale, di mettersi a disposizione. Per aiutare, trovare da dormire e da mangiare per gente clandestina, procurare false identità, occorre denaro, molto denaro.
I fondi per quest’opera provengono dagli Stati Uniti, da una organizzazione di soccorso ebraica denominata Jewish Joint Distribution Committee che fa avere gli aiuti in Italia. È stato Valobra a chiedere e ottenere questo denaro che arriva clandestinamente in Italia, via Svizzera.
La maggioranza dei profughi da soccorrere è giunta a piedi attraverso le Alpi Marittime, dalla Francia. Sono centinaia di persone, provate da continue fughe attraverso l’Europa, mano a mano occupata dai tedeschi. La prima sosta di questi stranieri è stata la Val di Gesso e una parte di loro è stata arrestata a Borgo San Dalmazzo in provincia di Cuneo. Il resto si è nascosto, terrorizzato, nei boschi ed è stato raggiunto da uomini della Delasem che li hanno condotti, alla spicciolata, a Genova. L’idea dei dirigenti è però di instradare questa marea di persone verso il Sud, Firenze, Roma e poi, chissà, anche farli arrivare nell’Italia meridionale, già liberata dagli Alleati.
Massimo Teglio abita proprio di fianco alla sinagoga, in Via Bertora 2. Per prudenza, si farà prestare l’appartamento vuoto del vicino al piano superiore al suo, dove si trasferisce. E’ solo perché ha perso la moglie ventottenne a causa di un bombardamento; sua figlia, di sei anni, vive presso i nonni, cattolici, a Rapallo.
“In seguito, mi allontanai qualche giorno da Genova per andare a trovare mia figlia e i miei suoceri e vi tornai martedì 2 novembre. Notai che la comunità era ancora aperta. Alle 15 vidi i bimbi del custode, Bino Polacco, giocare davanti. Entrai e parlai con la loro madre, Linda, dando ancora una volta un angoscioso allarme. Alle ore 19, rientrando in casa in via Bertora 2, vengo informato dal mio portiere che, alle 17, i tedeschi sono stati in Comunità e hanno costretto il custode, minacciando di uccidere i suoi bambini, a rivelare dove erano stati nascosti gli elenchi degli iscritti, trasferiti da circa un mese nelle cantine della mia casa, sotto un mucchio di stracci, dove furono rintracciati dai tedeschi”.
“Servendosi di quegli elenchi, i tedeschi obbligarono Polacco a telefonare agli iscritti alla Comunità, fissando loro un appuntamento per l’indomani mattina. Quel giorno, fu catturato il rabbino Pacifici che aveva appuntamento con Polacco in Galleria Mazzini, i tedeschi vennero a saperlo e lo identificarono immediatamente.” Pacifici fu deportato ad Auschwitz e non fece più ritorno.
“Non mi rimaneva che avvisare tutti coloro che si trovano ancora a Genova: il 3 mattina all’alba, vagai, come un pazzo, da un bar all’altro, telefonando da lì per non lasciare tracce.”
Teglio avvisa anche il suo amico, Angelo Oliva, del Banco di Chiavari che ha molte conoscenze e può facilmente spargere la voce.
“Purtroppo, all’appuntamento giunsero in tanti. All’inizio, gli sforzi della signora Romana Rossi Serotti, che abitava in via Bertora, di fronte al tempio, furono coronati da successo. Lei faceva cenni dalla sua finestra invitando gli ebrei che sopraggiungevano ad allontanarsi, poi anche lei fu arrestata.”
Qualche giorno dopo, il 5 novembre, Teglio viene a sapere che il distaccamento di polizia nazista che ha già realizzato il grande rastrellamento a Roma il precedente 16 ottobre, ha arrestato in una pensione di Montecatini, sua sorella Margherita, suo cognato e i due bambini, Claudio di 7 anni e Lia di 16 mesi.
Disperato, Teglio è deciso a rimanere a Genova per cercare di ottenere qualche notizia su di loro e si reca in arcivescovado per cercare aiuto presso don Francesco Repetto che non conosce ancora di persona.
Verso il 20 novembre, Valobra, capo della Delasem, ha saputo che Teglio non si muoverà da Genova finché non avrà notizie dei suoi famigliari e che sarebbe ben disposto ad occuparsi della Delasem, ormai passata in clandestinità. Gli dà appuntamento in casa di un amico comune, gli dice di essere troppo in vista per poter proseguire la sua opera, fuggirà in Svizzera passando clandestinamente la frontiera, gli consegna i nomi degli altri collaboratori che si trovano a Genova.
In città si forma un gruppo di volontari, ecclesiastici e laici, che coadiuvano la Delasem, ora cappeggiata da Teglio, che si dà da fare come una trottola, cerca documenti in bianco da riempire con false identità, ritira il denaro che arriva dalla Svizzera, stringe accordi con conventi, cerca soluzioni per far dormire i profughi. Per fortuna, ha amici influenti che non si curano delle leggi antiebraiche vigenti – e della proibizione perfino di semplici contatti tra ebrei e non ebrei. Teglio è stato tra i fondatori dell’Aereoclub di Genova, è simpatico a tutti: all’interno della questura, c’è il dottor Sbezzi, capo dell’ufficio politico, conosciuto in passato, quando suo cognato Achille Vitale era stato uno dei dieci ebrei prescelti, a caso, dalla Questura per essere punito per colpe non commesse e mandato al confino. Poi c’è Achille Malcovati, importante uomo d’affari che gode della fiducia dei tedeschi, su cui può contare. Nello Mazzotti un altro pilota dell’Aero Club lo va a trovare e gli dice che è pazzo a girare per la città con i suoi documenti. Ricopre una carica importante nel porto e i tedeschi gli hanno rilasciato un certo numero di carte di identità e permessi di circolazione da distribuire agli addetti. Se vuole, glie ne fornisce una.
“Fu così, dice Teglio, che diventai Giobatta Triberti, una persona che esisteva veramente e che aveva, per davvero, una carta d’identità rilasciata dalla Marina tedesca, ma che mancava da Genova da tanto tempo”.
Uno dei capi dell’organizzazione DELASEM nazionale è Raffaele Cantoni, ricercato non solo perché ebreo ma anche perché antifascista. Si trova a Firenze per coadiuvare il locale comitato ebraico-cristiano capeggiato dal rabbino Nathan Cassuto. Purtroppo, durante una riunione, un delatore conduce la polizia al luogo segreto e, il 26 novembre o il giorno successivo, tutti vengono arrestati.
Anche Raffaele Cantoni è arrestato in Piazza della Signoria. Da Firenze, è caricato con altri ebrei in un vagone passeggeri diretto a Verona, luogo di raccolta di altri rastrellati, per essere poi da lì rinchiuso in un vagone bestiame e deportato ad Auschwitz Birkenau. Tra Padova e Vicenza, seguendo il suo indomabile impulso e senso di ribellione, è saltato dal finestrino e, con una rocambolesca fuga, si è diretto a Milano per cercare di ritirare una grossa somma di denaro promessagli da un industriale milanese.
Una mattina di inizio dicembre 1943, a Genova, una sorpresa:
“Recandomi all’Arcivescovado, mi imbattei in Raffaele Cantoni che mi raccontò la sua vicenda.
Teglio racconta
“Mi disse che doveva andare in Svizzera per far perdere le sue tracce e riferire quello di cui era al corrente (arresti, deportazioni, delazioni). Mi promise di tornare presto. Ci recammo insieme nell’ufficio dell’amico Carlo Grasso dove presi appunti, nomi e indirizzi che sistemai nei classificatori di quell’ufficio, impegnandomi a distruggere tali elenchi non appena li avessi imparati a memoria. Così, avrei potuto mettermi in contatto con gli altri membri dell’organizzazione clandestina nelle altre città dell’Italia settentrionale.”
Teglio, dopo ciò che è successo a Firenze, eviterà accuratamente ogni riunione con i suoi collaboratori, che preferisce andare a trovare uno ad uno.
Non solo deve affrontare il problema dell’assistenza agli ebrei stranieri, ma presto, anche a quelli italiani, oggetto della stessa caccia all’uomo degli stranieri.
Il cibo è razionato in tutto il territorio, i negozianti possono consegnarlo solo dietro presentazione di coupons contenuti in tessere annonarie personali, distribuite alla popolazione direttamente dall’ufficio dell’annona: una certa quantità di pane al mese, farina, zucchero, olio, uova. Gli ebrei in clandestinità non possono, in queste condizioni, usufruirne, né possono circolare allo scoperto alla ricerca di cibo da comprare al mercato nero. Lo spettro della fame è incombente.
Teglio, forte della sua nuova identità, inizia a cercare per tutta Genova persone indigenti, quasi tutte assistite dall’Opera San Vincenzo, dotate di tessere annonarie. Offre loro di riscattarle per una cifra tale da coprire l’acquisto del medesimo cibo al mercato nero, più un ulteriore guadagno. Questo metodo ha però dei costi troppo alti. Teglio viene a sapere che in Questura ci sono centinaia di tessere inutilizzate, perché non reclamate dai rispettivi possessori che si sono allontanati dalla città; per ottenerle chiede l’aiuto del suo amico Orfeo Rossi, colonnello dei vigili urbani,.
Quanto alle carte d’identità, la Delasem riesce a procurarsene centinaia in bianco pagandole a caro prezzo. Mancano i dati e il timbro del comune della città d’origine. Poiché l’Italia meridionale è ormai in mano degli Alleati e le autorità non hanno più possibilità di controllo, la maggioranza delle carte false è timbrata con sigilli dei comuni di quella parte d’Italia.
A – “Il dottor Sbezzi stesso, Commissario di polizia, revisionò i documenti e corresse i più madornali errori, fornendomi inoltre un ulteriore punzone della Questura di Genova. Nascondevo la mia attrezzatura da falsario in appartamenti diversi di cui avevo le chiavi. Si trattava di amici e conoscenti che avevano abbandonato la città a causa dei martellanti bombardamenti”.
Un’altra attività della Delasem, guidata da Teglio e Repetto, è di organizzare spedizioni di fuggitivi che passavano la frontiera italo-svizzera clandestinamente. Le informazioni sono scarse e nessuno si aspetta, in quell’autunno del 1943, che le autorità svizzere possano respingere coloro che, faticosamente, raggiungono la rete confinaria. Ai primi di dicembre, un gruppo di una quindicina di ebrei, organizzati dalla Delasem e guidati dal sacerdote genovese Gian Maria Rotondi, viene respinto al confine e arrestato in Italia nel paesino di Valdomino, dove è parroco don Piero Folli. I due sacerdoti sono fermati, ma in seguito liberati grazie ai buoni uffici di don Giuseppe Bicchierai che si occupa del collegamento tra l’Arcivescovo di Milano Schuster e il comando della Polizia di Sicurezza tedesca a Milano; gli altri, tutti deportati.
Teglio cerca allora un modo per rendere più sicuro l’espatrio. Si rivolge a Leo Biaggi De Blasys, rappresentante locale della Croce Rossa, il cui padre è console svizzero a Genova, per concordare con lui le partenze e gli accoglimenti in Svizzera. De Blasys chiede che gli ebrei portino con sé, oltre ai documenti falsi, anche quelli autentici comprovanti la loro ebraicità e conseguente stato di pericolo. Un bel rischio in più per i fuggitivi di essere smascherati!
Il luogo dello sconfinamento è individuato nella proprietà di una signora genovese che possiede terreni a Lieto Colle sopra Como, per metà in territorio italiano e per metà in Svizzera.
La polizia germanica, avuto sentore dell’attività di Teglio, mette una taglia di un milione di lire sulla sua testa, contando sul fatto che egli è, a Genova, persona molto nota. Per scovarlo, vanno a cercarlo a Rapallo in casa dei genitori della moglie. Lui riesce a non farsi riconoscere tagliandosi i baffi, accorciandosi le sopracciglia, mettendosi gli occhiali e continua a girare per Genova portando soccorso ai suoi protetti.
“Non avevo paura delle spiate, perché non avevo nemici e molti amici. Avevo più paura dei vigliacchi e degli incoscienti che, per paura o nervosismo, avrebbero potuto farmi riconoscere”.
In grave pericolo, ritrova il suo vecchio amico, Achille Malcovati, legato alla Curia di Genova e ora direttore della centrale del latte di Genova.
“Un giorno, ci siamo incontrati davanti alla Curia, mentre io uscivo e lui entrava.” E mi dice: “Anche con quegli occhiali, ti riconosco, ma tu sei pazzo a venire qui…Vieni a Milano…ho bisogno di te…Tu guidi bene la macchina e io ho parecchie macchine con il permesso tedesco. Così, hai un lavoro fisso apparente e puoi fare quello che vuoi”.
Teglio si lascia convincere, si trasferisce a Milano dove non è persona conosciuta e continua da lì, in tutta l’Italia settentrionale, la sua opera in favore degli ebrei nascosti.