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Max Federman
Nato a Francoforte, visse lì la Notte dei cristalli a Francoforte, da cui scappò verso la Croazia, fece parte dei ragazzi di Villa Emma a Nonantola, aiutati dalla Delasem, ed entrò nella V Brigata Garibaldi
Agli inizi degli anni trenta, in Germania, in concomitanza della salita al potere di Hitler e dell’inizio delle persecuzioni antiebraiche, una donna di coraggio, educatrice e filantropa, si adoperò per costituire un’organizzazione che permettesse ai giovani ebrei di emigrare dalla Germania nazista e mettersi in salvo in Palestina. Stiamo parlando di Recha Schweiter Freier, che fondò il Kinder- und Jugend-Alijah e riuscì a portare in salvo migliaia di bambini e ragazzi ebrei.
Tra i tanti che Recha Freier riuscì a far fuggire c’era Max Federman, nato a Francoforte nel 1923 in una famiglia di artigiani. Il padre e il fratello di Federman furono arrestati dalle autorità naziste durante la notte dei cristalli e rinchiusi nel campo di Buchenwald.
A 17 anni Max fu costretto ad imparare ad arrangiarsi e grazie all’organizzazione di Freier fu fatto passare clandestinamente dalla Germania all’Austria e dall’Austria alla Jugoslavia, assieme ad altri ragazzi, partiti in piccoli gruppi. Tutti, a poco a poco, arrivarono a Zagabria e nel gennaio del 1941 si contavano 104 profughi, per lo più adolescenti. Le condizioni atmosferiche avverse e la neve sulle montagne interruppero l’arrivo di altri i ragazzi nella città ancora libera dove un comitato ebraico locale li assisteva. A causa dei pochi permessi concessi dalle autorità inglesi, l’immigrazione in Palestina risultava particolarmente complicata, così che i giovani rischiavano di rimanere bloccati in Europa. Nel marzo del 1941, Recha Freier, riuscì ad ottenere un visto di passaggio attraverso la Turchia e lasciò definitivamente Zagabria. Prima di partire però, si premurò di trovare una nuova guida per i giovani: incaricò l’educatore jugoslavo Josef Indig di occuparsi di loro e portarli in salvo.
Nel frattempo, nell’aprile del 1941 dopo l’occupazione militare delle forze congiunte italo-tedesche, la Jugoslavia fu costretta ad arrendersi e venne smembrata: venne istituito lo Stato Indipendente di Croazia che comprendeva Bosnia ed Erzegovina, nonché parti della Dalmazia, con capitale Zagabria. Il regime che vi fu instaurato era filofascista, filo-nazista, razzista e violento, tanto che divenne impellente per tutti i ragazzi giunti dalla Germania, così come per il resto della comunità ebraica locale, fuggire il prima possibile.
Indig, con l’aiuto dell’organizzazione di soccorso ebraica italiana chiamata Delasem – Delegazione Assistenza Emigranti – riuscì a organizzare la fuga e a portare i ragazzi in Slovenia, stato diventato parte dell’Italia con un Alto Commissario per la provincia di Lubiana il quale concesse al gruppo di profughi il permesso di entrare nella regione. Ad oggi, le ragioni di tale permesso non sono del tutto chiare e si tratta dell’unico caso conosciuto di deroga al divieto di ingresso in Italia di ebrei stranieri, da parte del Ministero dell’Interno. La mattina del 4 luglio 1941, 43 ragazzi e 5 accompagnatori, tra cui Max Federman lasciarono Zagabria, diretti a un castello di caccia a Lesno Brdo, preso appositamente in affitto dalla Delasem. La sosta a Lesno Brdo durò parecchi mesi fino a che i ragazzi non si trovarono tra due fuochi: da una parte simpatizzavano con i partigiani del movimento sloveno che accoglievano e assistevano, dall’altra rischiavano di perdere le facilitazioni che le autorità italiane li avevano concesso.
La Delasem decise allora di organizzare l’arrivo dei giovani: affittò una Villa Emma, nella periferia di Modena, località Nonantola e i 40 giovani insieme a 9 accompagnatori vi giunsero il 17 luglio 1942 a seguito di un viaggio molto complicato. Nell’ aprile del 1943 a questo primo gruppo si unì un secondo contingente di 34 ragazzi profughi senza genitori, provenienti da Spalato.
A Nonantola la vita riprese una parvenza di normalità tanto che la guerra pareva lontana. Vennero organizzate attività didattiche e nonostante qualche divergenza tra gli educatori sul curriculum da seguire, i ragazzi studiavano musica, letteratura, storia e filosofia, antropologia, ebraismo, ebraico moderno e storia del sionismo. Si imparava inoltre l’italiano e gli studenti potevano consultare una consistente biblioteca con testi in lingua tedesca, spartiti per pianoforte e canto, dischi e un grammofono.
Gli abitanti di Villa Emma erano anche confortati dall’amichevole atteggiamento della popolazione locale con cui condivisero l’addestramento ai lavori agricoli e artigianali. I locali svolgeranno un ruolo importante anche al momento della fuga dei giovani e in particolare modo il medico Giuseppe Moreali e don Arrigo Beccari, verranno riconosciuti come Giusti fra le Nazioni.
Purtroppo però, dopo poco tempo i ragazzi si trovarono di nuovo in pericolo: con l’armistizio dell’8 settembre 1943, i tedeschi presero pieno controllo del nord Italia e bisognava affrettarsi a lasciare la villa e organizzare la fuga verso la Svizzera. Dopo diverse, pericolose avventure, compreso il respingimento da parte delle autorità svizzere, un gruppo di fuggitivi riuscì a mettersi in salvo nello stato neutrale, mentre Max, assieme all’amico Moshe Szapiro di Varsavia, scelse di dirigersi in bicicletta verso sud andando incontro agli Alleati e arrivò ad Ancona. Lì i due si rivolsero alla comunità ebraica locale, attiva ancora per poco tempo, per ricevere consigli. Furono indirizzati ad un partigiano ebreo di cui non si conosce il nome che faceva parte della V Brigata Garibaldi a Pesaro. Federman e Szapiro entrarono a far parte del suo battaglione ma si persero velocemente di vista a causa di un vasto rastrellamento tedesco nella zona che disperse la banda. Max cominciò a organizzare azioni di resistenza alle truppe tedesche e il 25 marzo 1944, assieme ad alcuni compagni fece saltare in aria il ponte di Cantiano, vicino a Cagli. Più avanti durante un attacco nemico rimase ferito ma fortunatamente trovò l’aiuto di Spartaco Alessandri, e di sua madre Mimma, proprietari del modesto albergo “Monte Petrano”, sull’omonimo monte. Solitamente aperto al pubblico esclusivamente per la stagione estiva, quell’anno l’albergo rimase aperto tutto l’autunno dando rifugio a partigiani, disertori e famiglie di ebrei in cerca di rifugio. Alessandri fece addirittura riparare a casa sua Federman che era gravemente ammalato ma che riuscì a salvarsi e assistere alla Liberazione. Dopo la guerra ricevette il certificato Alexander ed emigrò negli Stati Uniti, non prima però di essersi assicurato di far riconoscere Giusti fra le Nazioni Spartaco e Mimma Alessandri.