Home » La mostra digitale » Sergio Forti
Sergio Forti
Ingegnere navale, lavoratore nei cantieri di Viareggio, ideò e partecipò a molte azioni di guerriglia e morì per salvare i suoi compagni partigiani
«Mio fratello era gaio, prepotente e vivace… La nostra vita era piena di sole. Camminavamo insieme nei boschi di quercia e platani antichi, dove io mi sentivo una piccola cosa e strillavo: “Sergio, Sergio” per sentire la mia voce e per avere mio fratello vicino».
Così, Silvia Forti descrive il fratello Sergio, giovane ingegnere, poliglotta, amante della natura e dello sport che si unì alla lotta partigiana e che venne ucciso per mano nazista.
Sergio Forti nasce a Trieste nel 1920 in una famiglia ebraica che coltivava senso civico e principi di libertà e giustizia. A 22 anni si laurea in ingegneria navale e meccanica all’università di Genova e, subito, trova lavoro presso la società Cantieri navali “Dalmazia e Versilia” a Viareggio. L’8 settembre 1943, quando viene annunciato l’armistizio, Sergio, pur non essendo un militare, cosa proibita agli ebrei, esegue rapidamente gli ordini del Ministero della Marina e distrugge tutti i navigli che non si potevano salvare per sottrarli ai tedeschi. Scrive ancora la sorella Silvia a proposito di questo periodo: “Poi scoppiò la guerra e per volere di uno strano signore che rovinò il mio Paese, mio fratello non fece il soldato, ma andò in un cantiere…La vita cominciava ad essere una terribile splendida lotta e a noi due piaceva sentirla così, difficile e aspra, perché sapevamo lottare e sapevamo aiutare”.
Costretti in quanto ebrei a fuggire da Trieste, i Forti trovano riparo ad Abeto, paesino in provincia di Perugia, non lontano da Norcia. Qui Sergio prende subito contatto con elementi anti-tedeschi e antifascisti e con qualche ufficiale smilitarizzato dell’esercito e comincia a esortare il Comitato di Liberazione Nazionale, il CLN, a un’azione militare.
Camminatore e ciclista instancabile, di sua iniziativa inizia la ricognizione e lo studio topografico del territorio elaborando piani militari organici come l’idea di interruzioni stradali nella piana di Castelluccio. Durante questi giri di ricognizione, Sergio si imbatte in prigionieri di guerra alleati fuggiti all’internamento e, grazie alla sua conoscenza delle lingue – inglese, francese, tedesco – riesce a stabilire legami con loro e ad assisterli.
Scrive Silvia: «il mio paese era invaso dagli stranieri da ogni parte, così, cedette le armi e tutti scappavano e scappammo anche noi perché c’era un pazzo signore tedesco coi baffi che voleva prenderci e spedirci in un vagone piombato in Polonia, ma noi non volevamo morire perché la nostra vita non era finita. E i nostri figli non erano nati… e così, Bruno cominciò a lavorare per la causa. Italiani e inglesi, americani e sudafricani, slavi e irlandesi erano tutti fratelli. E tutti dovevano lottare se volevano salvarsi».
Successivamente, Il CLN affida a Sergio mansioni di collegamento tra il Comitato stesso, bande di patrioti dislocate nella regione e gruppi di prigionieri inglesi ed è in questo modo che viene a contatto con la Banda Melis, e con i capi partigiani Ferri, Costa, Toso (Svetozar Lakovic) e altri. Dalla fine del 1943 al 14 giugno del 1944, per svolgere il suo compito di coordinamento, il partigiano Forti attraversa a piedi Umbria, Marche, e Abruzzo, cammina giorno e notte, nella bufera e sotto il sole, con la neve a mezza gamba e con il caldo. La sua casa di Abeto diventa centro di coordinamento e di deposito di armi.
Poi, la prima settimana dell’aprile del 1944, i tedeschi scatenano un grande rastrellamento e uccidono molti resistenti. Forti però riesce a partire per Roma e a reperire fondi dal CLN centrale (Cln) e dagli organismi militari clandestini, grazie anche al suo legame con il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, da poco ucciso alle Fosse Ardeatine. Con queste risorse, Sergio studia nuove azioni di resistenza ai Tedeschi: insieme al tenente britannico Thomas O’Brien progetta un’esplosione che fa crollare alcune rocce strapiombanti sulla via Salaria ad Amatrice, riuscendo così a interrompere per due giorni il traffico nemico. Più avanti colloca mine sui binari ferroviari di Terni. Alla madre che, angosciata, lo prega di risparmiarsi dalle improbe fatiche fisiche risponde: «La mia vita non mi appartiene. Devo conquistarmela. E devo dare l’esempio».
E la sorella: «Quante volte svegliai mio fratello alle tre del mattino durante i 9 mesi di vita assieme ad Abeto». «Sergio continuamente partiva. E viaggiava a piedi, di notte. Nessuno sapeva per dove. Era una dolce consuetudine. ‘Sergio, sono le tre, alzati’. Poi quando mi risvegliavo alle 8, era sparito. Ma ritornava ogni volta. Nessuno lo poteva toccare perché la vita era dentro di lui e fuori di lui. In giugno, cominciammo a vedere i tedeschi che si ritiravano: La lotta era quasi finita. Negli occhi azzurri di mio fratello vedevo tanto coraggio e sicurezza e Sergio mi diceva, senza parlar “Ho vinto”».
Nel giugno del 1944 Forti decide di far saltare il ponte alle Forche di Civita coinvolgendo tre compagni: il maresciallo dell’aeronautica Alfio Pavesi, il tenente O’Brien e il sergente sudafricano G.A. Buchanan, ormai diventati suoi grandi amici. Consapevole che si tratta di un’azione molto pericolosa, dispone che i due ufficiali stranieri, più riconoscibili, lo seguano ad una certa distanza mentre lui apre la strada. Tutti e quattro sono carichi di esplosivo e pronti allo scontro. Tra Paganelli e Valcaldara vengono sorpresi da una pattuglia di Alpenjäger; Sergio fa fuggire i tre compagni andando risolutamente verso i tedeschi e apostrofandoli nella loro lingua, distraendoli e dando tempo ai compagni di fuggire. Lui invece viene catturato, torturato e ucciso alle 9 di mattina del 9 giugno 1944.
Sergio Forti, eroico ventiquattrenne, caduto salvando i suoi compagni, fu decorato con medaglia d’oro al Valore militare alla memoria il 16 febbraio 1945.