Matilde Bassani

Matilde Bassani

Cresciuta in un ambiente dal forte spirito democratico e antifascista, nel novembre 1943 fuggì da Ferrara verso Roma dove si unì alla Resistenza locale

Matilde Bassani nacque a Ferrara l’8 dicembre 1918, in una famiglia dal forte spirito democratico e antifascista. Il padre Dante era professore di lingue, e dopo essere stato costretto ad andare ad insegnare ad Asti a causa delle sue idee politiche contrarie al fascismo, alla fine degli anni ’20 tornò ad insegnare tedesco all’Istituto tecnico di Ferrara. Il fratello della madre Lavinia, Ludovico Limentani, era un filosofo e maestro di positivismo, professore di filosofia all’università di Padova e a quella di Firenze, e firmatario del “Manifesto degli intellettuali antifascisti” di Benedetto Croce. Della famiglia faceva parte anche Eugenio Curiel, che sarà uno dei dirigenti del giornale “L’Unità” clandestina, della rivista “La nostra lotta”, e il principale animatore del Fronte della Gioventù, che chiamava a partecipare alla Resistenza i giovani comunisti. 

Matilde, una volta che la famiglia Bassani fu tornata a Ferrara, si iscrisse al liceo classico “Ludovico Ariosto”, dove il suo insegnante di greco e latino, Francesco Viviani, antifascista della prima ora, la introdusse nella casa della maestra Alda Costa, anche lei contraria al regime, frequentata da vecchi oppositori del regime e da giovani ragazzi come Matilde e Giorgio Bassani, che si affermerà come scrittore di fama con “Il giardino dei Finzi Contini” e che si ispirerà proprio alla figura di Alda Costa per Clelia Trotti, protagonista di un racconto breve. Insieme a loro c’erano anche intellettuali, lavoratori con le loro mogli, membri del PCI.

“Quante serate passate con Giorgio Bassani che, a quel tempo, seppe essere l’elemento catalizzatore del gruppo dei giovani. Durante queste serate preparavamo il “soccorso rosso” l’iniziativa in favore dei confinati e carcerati politici e delle loro famiglie, riassumevamo la stampa antifascista da distribuire nelle fabbriche, studiavamo il modo di prendere i contatti con il gruppo di antifascisti di altre città. Le sedute, piene di fervore operativo tenute in casa mia o in casa della Alda Costa, di Carlo Ludovico Ragghianti a Bologna, la raccolta di denari, la cura per ogni nuovo adepto, la raccolta di armi, la preparazione di atti di protesta, la ricerca di elementi capaci di operare in diversi settori della vita quotidiana sono stati sempre elementi presenti negli anni di questa dura lotta.”

Dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche del 1938 tutti i bambini e gli adolescenti ebrei persero il diritto di frequentare le scuole pubbliche, così le comunità ebraiche dovettero organizzare scuole alternative. A Ferrara la scuola ebraica di via Vignatagliata, aperta nel ghetto fin da fine Ottocento, ospitò così gli alunni espulsi dall’Ariosto. Nel 1939 Giorgio Bassani, neolaureato all’Università di Bologna, chiamò così l’amica Matilde, di due anni più giovane e ancora studente all’Università di Padova, ad insegnare. Giorgio Bassani insegnava letteratura italiana e italiano, mentre Matilde greco, latino, letteratura greca e inglese. Insieme a loro c’era anche Vito Morpurgo, che istruiva i ragazzi in storia degli zingari d’Europa e lo storico dell’arte Ragghianti.

“Giorgio Bassani, Vito Morpurgo e io svolgevamo il nostro lavoro di insegnanti presso la scuola ebraica di Ferrara. Cercavamo di dare un senso di dignità ai ragazzi perseguitati, a cancellare da loro l’idea paralizzante dell’inutilità, di far vivere loro l’esclusione dalla vita collettiva non come fatto personale, ma come una delle tante ingiustizie di un governo nato dall’ingiustizia e dalla violenza.”

Nel 1940, Matilde si laureò in lettere e filosofia all’università di Padova, ottenendo pieni voti ma non la lode per il fatto di essere ebrea. Ebbe come insegnanti Norberto Bobbio e Concetto Marchesi, per un periodo, rettore dell’università, autore di un famoso appello antifascista agli studenti, diffuso mentre egli era in clandestinità, ai primi di dicembre del 1943. 

“Ricordo quando portavo il materiale al professor Bobbio e al professor Marchesi a Padova; quanti scambi di idee, quanta cautela per non venire scoperti! Tutta la nostra vita prendeva luce dall’impegno preso davanti a noi stessi e ai nostri compagni. Ogni avvenimento era in funzione di questo. Ricordo che quando mi mandarono ai lavori obbligatori per un breve periodo, il fatto non fu sentito come una umiliazione, ma divenne una via per stringere altri rapporti umani”.

In quegli anni Matilde lavorava anche come tutrice dei ragazzi e delle ragazze di casa Balbo, famiglia legata a Ferrara e al fascismo grazie a Italo, quadrumviro dopo la marcia su Roma, governatore di Libia, morto nel 1940 a Tobruk, con il suo aereo che prese fuoco durante un atterraggio. Matilde rimase legata ai Balbo, molto amica di Donna Manù e Liana Balbo, a casa di cui conobbe anche il suo futuro marito, Ulisse Finzi. Nel 1942, Matilde fu però richiamata al lavoro obbligatorio, un provvedimento punitivo verso gli ebrei tra i 18 e i 55 anni emanato, in via amministrativa, dalla Direzione Generale per la Demografia e la Razza del Ministero dell’Interno. Insieme agli altri giovani, fu costretta a preparare cassette di patate per la Norvegia, dentro cui infilava messaggi e informazioni sulla situazione degli ebrei sotto il fascismo. Nel mentre continua la sua attività di propaganda contro il regime. Per questo nel giugno del 1943 fu arrestata assieme a Giorgio Bassani con l’imputazione di azione sovversiva per aver diffuso volantini in ricordo di Giacomo Matteotti, il deputato socialista ucciso dai fascisti nel 1924.  

“Verso la fine di maggio, il nostro gruppo antifascista subì un duro colpo. A uno a uno vedemmo arrestare molti dei nostri compagni di Ferrara, di Bologna, dell’Emilia. Il 10 giugno del 1943 di notte, con un’amica, la dottoressa Laura Weiss di Trieste e un compagno, andammo ad affiggere dei manifesti in ricordo della morte di Matteotti. Fu l’ultima azione di quel periodo. L’11 giugno venni arrestata. Tenni testa ai lunghi interrogatori, malgrado mi facessero pressioni attraverso un duro regime alimentare…”

Alla caduta di Mussolini, il 25 luglio del 1943, Matilde fu liberata, come tutti gli accusati di delitti politici. Con l’occupazione tedesca e la nascita della Repubblica Sociale Italiana per i partigiani e per gli ebrei la situazione andò peggiorando. Il 9 novembre sua madre viene avvicinata da un signore: 

 “dica a Matilde di non tornare a casa. C’è in giro un camion che tira su i politici”. 

Matilde riuscì a fuggire in bicicletta a Rubiera, e da lì a prendere un treno per Roma. Pochi giorni dopo, il 15 novembre, gli squadristi di Verona e Padova si recarono appositamente a Ferrara per vendicare l’uccisione del federale locale Iginio Ghisellini. Furono presi dalla prigione il dottor Pasquale Colagrande, sostituto procuratore colpevole di aver liberato gli avversari del regime dopo la caduta del fascismo; l’avvocato Ugo Teglio, ebreo, ex confinato; l’avvocato Giuseppe Piazzi, ex socialista; Alberto Vita Finzi, commerciante ebreo, padre di sei bambini. Insieme a loro vengono presi anche Emilio Arlotti, Mario Zanatta, Mario e Vittorio Hanau. Lungo la strada vengono aggiunti al tragico corteo Arturo Toboli, ragioniere liquidatore che si era permesso di denunciare le truffe dei gerarchi; Gerolamo Savonazzi, ingegnere del comune, e Cinzio Belletti. Vennero tutti fucilati per rappresaglia. La storia sarà raccontata da Giorgio Bassani in “Cinque storie ferraresi” e ripresa dal regista Florestano Vancini in “La lunga notte del ‘43”.   

Matilde era riuscita a salvarsi. A Roma era stata ospitata da Pina Brunelli, in via Monte Oppio 5, un’amica di Italo Balbo. Nella capitale assunse l’identità di una sua cugina, Giuliana Sala, emigrata in America, sostituendo la propria fotografia alle carte d’identità della parente, la patente di guida e la tessera postale. 

“I due permessi mi servirono per andare a Roma “per motivi di lavoro”: si trattava in realtà di un lavoro clandestino, quello di partigiana. Dovendo passare per Giuliana Sala che era un po’ bigotta, mi portavo dietro vari santini.”  

A Roma iniziò la sua attività partigiana all’interno della militanza socialista, dove re-incontrò Ulisse Finzi, che aveva già conosciuto in casa Balbo. Ulisse aveva assunto la falsa identità di Mario Bianchi, di professione decoratore. Matilde stessa ci racconta una delle sue azioni di propaganda.

“Facevo parte del Comitato Studentesco di Agitazione di Roma. Io e un altro partigiano, l’amico Lampo, cioè Angelo Lombardi, andammo ad una serata musicale organizzata dal teatro Adriano con questi volantini: volevamo gettarli al buio dal loggione, ma poi, prudentemente, li spargemmo sulle poltrone”.

Universitari Romani! Gli oppositori tedeschi e i traditori fascisti hanno ordinato la riapertura dell’Università di Roma. Essi vogliono fare della nostra Università uno strumento di corruzione e di propaganda per la guerra di Hitler – vogliono far apparire il suo normale funzionamento come un tacito consenso della gioventù studentesca e della cultura italiana alla loro barbarie e tirannide – vogliono trasformare le aule universitarie in gigantesche trappole per le loro razzie. Universitari Romani! Dobbiamo spezzare l’infame piano, dobbiamo ribellarci a questa bruciante umiliazione”  

Per la Resistenza Matilde distribuì stampa clandestina, trasportò armi, fece da staffetta di collegamento con i partigiani dei Castelli Romani. Malgrado fosse ebrea, sotto falso nome, trattò con le SS per cercare di far rilasciare il suo amico Aladino Govoni, della provincia di Ferrara, capitano dei granatieri e uno dei capi delle formazioni di Bandiera Rossa, catturato per una spiata nel febbraio del 1944 e assassinato alle Fosse Ardeatine. Il 24 marzo 1944, uscendo dal recinto Vaticano dove era andata per chiedere ospitalità per due rifugiati polacchi, fu fermata dalle SS e dalla polizia fascista, ma riuscì a sfuggire alla cattura. 

“I tedeschi mi ferirono ad un ginocchio, ma riuscii a fuggire: un gruppo di suore con alcuni bambini fecero muro tra me e i tedeschi e un operaio si tolse il fazzoletto dal collo e lo usò per fasciarmi il ginocchio. I tedeschi mi avevano però strappato la borsetta che conteneva una lettera per la fedele donna di servizio della zia Adelina, in cui davo mie notizie perché le riferisse alla mia mamma, a mio fratello Bruno e al nonno Gilmo. Vagai di casa in casa cercando aiuto, in una Roma atterrita dall’eccidio delle Fosse Ardeatine…” 

Matilde, angosciata e impaurita, bussò alla fine, alla porta degli Ospedali Riuniti di Roma, dove i ricercati erano accolti e protetti. Direttore del reparto delle malattie infettive era il dottor Giuseppe Caronia. Durante l’occupazione ricoverò nel suo reparto decine di fuggitivi, tra cui numerosi ebrei. Caronia, il 24 giugno del 1996 sarà riconosciuto Giusto fra le Nazioni dall’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme. 

In seguito Matilde, sotto il nuovo nome di Maria Antonelli, si spostò alla Casa di cura Suore di San Carlo, dove aveva per amica suor Letizia, che era stata sua insegnante di francese quando era ragazzina a Ferrara. Con la liberazione di Roma, il 5 giugno 1944, Matilde si adoperò nell’assistenza ai partigiani bisognosi di cure, di vestiario, di lavoro, un’attività che era coordinata dal Comando Superiore Partigiano, e diretta da Ulisse Finzi. Matilde collaborò anche con la Psychological Warfare Branch, l’ufficio per la guerra psicologica a favore della lotta anti fascista nelle regioni ancora sotto occupazione. La propaganda era fatta attraverso trasmissioni radio e con un giornale dal titolo “L’Italia combatte” che veniva paracadutato nelle terre ancora occupate. 

Il 10 luglio, 1944, con sorpresa, si vide recapitare all’Ufficio oggetti rinvenuti di Roma il contenuto della borsetta che le era stata strappata durante la sua fuga di marzo, quando rimase ferita. Tra gli oggetti c’era anche il suo bigliettino manoscritto: 

“Sento che l’indifferenza è realmente estranea alla mia natura e che vivere in indifferenza è il solo inferno nel quale io credo”.

Dopo la fine della guerra, sposatasi con Ulisse Finzi, si trasferì a Milano, e lottò per vedersi riconosciuto il suo ruolo di partigiana combattente dalla Commissione laziale.  Lo status di partigiana combattente, con il grado di comandante, le verrà riconosciuto il 15 novembre 1949. Matilde continuerà poi la sua attività di militanza civile, rimanendo attiva nel movimento femminista italiano. Fu vicepresidente dell’Unione femminile nazionale dal 1970 al 1979, svolgendo un intenso lavoro presso la Scuola dei genitori, ospitata nella sede dell’Unione, e collaborando con il “Giornale dei genitori”. Sarà anche vicepresidente dell’Unione Donne Italiane, spendendosi nelle battaglie per la legge sul divorzio, quella sull’aborto e per il Tribunale dei Minori. Riprese anche a studiare, divenendo psicologa e membro della Società italiana di sessuologia clinica. Morirà a Milano il I marzo 2009.

  

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Anna Maria Quarzi, Donne e Resistenza. Intervista a Matilde Bassani Finzi, in “Ferrara. Storia, beni culturali e ambiente”, 6-7, gennaio – aprile 1997, pp. 88-91

Matilde Bassani Finzi partigiana. Documenti 1943-1945, a cura di Valeria Finzi, Edizione privata, Milano 2004

Antonella Guarnieri, Matilde Bassani tra antifascismo, Resistenza e impegno sociale: una vita ‘felice’ dedicata agli altri, in “Ebrei a Ferrara ebrei di Ferrara: aspetti culturali, economici e sociali della presenza ebraica a Ferrara (secc. XIII-XX)” a cura di Laura Graziani Secchieri Giuntina, Firenze, 2014, pp. 313-319

Matilde Bassani, 1944

Il “maestro” Concetto Marchesi ricorda l’ex-allieva Matilde Bassani “in quel 1943” come esempio di fermezza, intelligenza e onore, anche per i compagni più anziani 

 Ulisse Finzi e Matilde Bassani, entrambi partigiani, si sposarono il 9 aprile 1945 

Nel 1939 Matilde Bassani fu chiamata ad insegnare alla scuola ebraica di Ferrara, dall’amico Giorgio Bassani. Rimasero “colleghi” fino al 1942  

Matilde Bassani per diverso tempo fece da tutrice ai figli del governatore di Libia, Italo Balbo. In questa foto è ritratta con la famiglia di Italo Balbo a Punta Ala  

Attestato del 10 maggio 1945 sulle attività svolte dal Matilde Finzi per il Servizio Informazioni organizzato dal  Comando Superiore Partigiano a favore dell’Office of Strategic Services americano 

Diploma d’onore concesso a Matilde Bassani da Sandro Pertini, 25 aprile 1984 

Matilde Bassani si laureò nel 1940 in Lettere e Filosofia, all’Università di Padova. Come docenti ebbe, fra gli altri, Norberto Bobbio e Concetto Marchesi

Attestato  del 6 giugno 1944 rilasciato  dal Comando Bande Partigiane di Roma sull’ “intensa attività” partigiana svolta da Matilde Bassani durante tutti i mesi dell’occupazione tedesca

Alla metà degli anni ’50 Matilde Bassani compilò personalmente il questionario distribuito dal CDEC per la raccolta di informazioni sul contributo ebraico alla lotta di Liberazione