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Alessandro Sinigaglia
Il comunismo, la guerra di Spagna, il confino... e poi la Resistenza, nei GAP di Firenze
A Firenze in via de’ Pandolfini numero 15, dal 1955 è posata una lapide in ricordo di Alessandro Sinigaglia, “l’eroico comandante partigiano” “trucidato dai nazisti” il 13 febbraio 1944. Aveva solo quarantadue anni quando fu ucciso e la metà di essi li aveva vissuti combattendo l’oppressione e il fascismo in nome degli ideali comunisti.
Alessandro Sinigaglia era nato a San Domenico di Fiesole il 2 gennaio 1902 da padre italiano ebreo, David Sinigaglia, e da madre afroamericana e protestante, Cynthia White. Entrambi i genitori di Alessandro lavoravano a servizio presso la villa di un intellettuale britannico, George Gregory Smith.
Alessandro trascorse l’infanzia e parte della sua adolescenza in un ambiente certamente non ordinario.
Dopo la morte precoce della madre, Alessandro si trasferì a Firenze insieme al padre che aprì un’officina meccanica nel quartiere popolare di Santa Croce.
Terminati gli studi tecnici affiancò per qualche tempo il padre nella conduzione dell’officina. Tra il 1921 e il 1923 Alessandro fece ventuno mesi di servizio di leva nella Regia Marina Militare. Al rientro a Firenze, si avvicinò agli ambienti comunisti clandestini.
Si trattava dei gruppi giovanili di quartiere, ma per Alessandro rappresentarono una straordinaria palestra di formazione ideologica e politica che lo portarono presto all’adesione convinta al Partito Comunista. Il fascismo al potere, le progressive limitazioni delle libertà civili e politiche, con gli oppositori al regime sempre più oggetto di persecuzione, spinsero Alessandro, come già molti altri compagni, a scegliere la via dell’esilio. Destinazione: Unione Sovietica.
Passando per Milano, Sinigaglia raggiunse la Svizzera e poi la Germania, e finalmente alla fine del 1928 arrivò a Mosca. Nella capitale sovietica ritrovò numerosi compagni italiani fuoriusciti. Come molti di essi, si iscrisse alla scuola leninista Zapada prendendo al contempo lezioni di russo da una compagna di partito, Alina Rivina. Con Alina Rivina intrecciò poi anche una relazione dalla quale nel 1930 nacque Margherita.
La nuova vita in Unione Sovietica non recise mai il legame di Alessandro Sinigaglia con l’Italia, e con suo padre in particolare al quale scriveva lettere piene di affetto e nostalgia – regolarmente intercettate e censurate dalla polizia:
“Carissimo Babbo, …Noi stiamo tutti bene. Io ho sempre molto lavoro, di cui sono contento e soddisfatto sotto tutti i punti di vista. Qua sono molto stimato e quotato sia per la mia capacità di lavoro, sia per la mia attività sociale, certamente che ho molto cambiato da quel ragazzaccio scapestrato che ero quando ero presso di te (beninteso, non per il lato politico di cui non ho niente a pentirmi essendo oggi ancor più convinto nelle mie idee d’allora, ma in generale). Ricevi tanti saluti e baci dal tuo affezionatissimo figlio”.
Nel 1935 la dirigenza del Partito comunista inviò Alessandro Sinigaglia in Svizzera, a svolgere propaganda politica. Con un altro lungo e tormentato viaggio, passando per il Belgio e poi la Francia, Sinigaglia raggiunge la Svizzera, fermandosi nel Canton Ticino. Nell’agosto del 1935 venne arrestato a Bellinzona e dopo qualche mese di carcere, a novembre, venne espulso dal paese.
Agli inizi del 1936 ritroviamo Alessandro Sinigaglia a Parigi dove era entrato in contatto col Comitato centrale del Partito Comunista d’Italia in esilio. Durante il periodo parigino, grazie alle relazioni con i compagni fuoriusciti, Alessandro Sinigaglia era al corrente di tutto quanto accadeva non solo in Italia, ma anche all’estero. Emblematico e decisivo fu per Sinigaglia il caso della guerra di Spagna. Dopo le elezioni del febbraio 1936, vinte dal Fronte Popolare, a giugno la Spagna fu travolta dal colpo di stato messo in atto dal generale Francisco Franco.
La guerra civile che ne seguì portò numerosi italiani – fascisti e antifascisti ad arruolarsi volontari, schierati i primi con le forze di Franco, i secondi con le forze del Fronte Popolare.
Famosissime sono rimaste le parole che Carlo Rosselli pronunciò dalla Radio di Barcellona a sostegno delle forze rivoluzionarie e la liberazione dal fascismo:
“Compagni, fratelli, italiani, ascoltate. Un volontario italiano vi parla dalla Radio di Barcellona per portarvi il saluto delle migliaia di antifascisti italiani esuli che si battono nelle file dell’armata rivoluzionaria. Una colonna italiana combatte da tre mesi sul fronte di Aragona. Undici morti, venti feriti, la stima dei compagni spagnuoli: ecco la testimonianza del suo sacrificio. Una seconda colonna italiana, formatasi in questi giorni, difende eroicamente Madrid. In tutti i reparti si trovano volontari italiani, uomini che avendo perduto la libertà nella propria terra, cominciano col riconquistarla in Ispagna, fucile alla mano. Giornalmente arrivano volontari italiani: dalla Francia, dal Belgio. dalla Svizzera, dalle lontane Americhe. Dovunque sono comunità italiane, si formano comitati per la Spagna proletaria. Anche dall’Italia oppressa partono volontari. Nelle nostre file contiamo a decine i compagni che, a prezzo di mille pericoli, hanno varcato clandestinamente la frontiera. Accanto ai veterani dell’antifascismo lottano i Giovanissimi che hanno abbandonato l’università, la fabbrica e perfino la caserma. […] Oggi qui, domani in Italia.
[…] Il motto della milizia rivoluzionaria che fino ad ora era “No pasaran” è diventato “Pasaremos”, cioè non i fascisti, ma noi, i rivoluzionari, passeremo.”
Nel settembre del 1936 Alessandro Sinigaglia fu tra i primi a partire volontario per la Spagna. Per oltre un anno mise a disposizione delle forze repubblicane l’esperienza e le conoscenze acquisite sia durante il servizio di leva nella Marina Militare sia alla scuola militare sovietica.
Dopo oltre un anno di scontri, la sconfitta delle forze repubblicane fu inequivocabile e fra la fine del 1937 e l’inizio del 1938 Sinigaglia, come molti dei compagni volontari, si ritirò verso la frontiera dei Pirenei. Venne internato dalle autorità francesi nel campo di Saint Cyprien; dopo oltre un anno di prigionia, nel maggio del 1939, fu trasferito nel campo di Gurs e successivamente nel campo di Vernet d’Ariege.
Fra un trasferimento e l’altro passarono quasi tre anni.
Nell’aprile del 1941 venne tradotto in Italia e rinchiuso nel carcere delle Murate di Firenze, in quanto considerato un pericoloso sovversivo. Nei documenti inviati dalla Legione territoriale dei carabinieri alla questura di Firenze oltre alla sua pericolosità si sottolineava che era “figlio di un ebreo e la madre era negra”.
Nel giugno del 1941 per decisione delle Prefettura di Firenze, Alessandro Sinigaglia fu destinato al confino presso l’isola di Ventotene. Si ritrovò a condividere le sue giornate da confinato con Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia, Umberto Terracini, Sandro Pertini, Ernesto Rossi.
Dopo il 25 luglio 1943 e la caduta di Mussolini, i confinati attendevano dal governo Badoglio l’ordine di liberazione – che per i sovversivi comunisti venne posticipato al 14 agosto 1943.
Fu in quell’estate del 1943 che Alessandro Sinigaglia, dopo tredici anni di lontananza, rientrò a Firenze, in Via Ghibellina, dove ancora viveva la seconda moglie del padre, Zaira Bemporad.
Pochi giorni dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, giunse a Firenze Pietro Secchia della direzione del Partito Comunista Italiano con il compito di assegnare i primi incarichi nella Resistenza. All’amico Sinigaglia, che prese il nome di battaglia “Vittorio”, Secchia affidò il compito di organizzare l’attività militare delle bande armate a Firenze e in altre città della Toscana.
Fu Sinigaglia ad organizzare le sempre più numerose bande armate delle giovani reclute della Resistenza, a Monte Giovi come a Monte Morello. Nell’ottobre del 1943 i comunisti fiorentini costituirono le Brigate d’Assalto Garibaldi. A Firenze intanto imperversava la banda fascista di Mario Carità, nota per la violenza e le torture praticate per estorcere informazioni ai partigiani catturati.
Il 2 novembre 1943, il primo comando militare del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale venne sorpreso dagli uomini della banda Carità in un appartamento di via Masaccio a Firenze. Furono catturati tutti, salvo Sinigaglia che per un fortuito caso, riuscì a sfuggire alla retata. Da quel momento dovette darsi alla macchia. Trovò riparo ed ospitalità presso la casa del direttore d’orchestra e compositore svizzero, Igor Markevitch, che gli fu amico e gli fu di sostegno durante tutto la sua attività partigiana. “Sandro fu il terrore dei fascisti – ricordò in seguito Markevitch. Manifesti murali promettevano ricompense ragguardevoli a chi lo consegnasse alle autorità tedesche. Nonostante il folle pericolo che correva, lo vidi sempre di umore uguale e dolce. A volte, soltanto se parlava di una crudeltà nazista o di persone che avevano negato aiuto al movimento, una fiamma di rabbia e di dolore tremendo accendeva per un attimo il suo sguardo. Quella vampa fuggitiva rivelava una risoluzione inflessibile, si sentivano allora milioni di uomini dietro Sandro”.
Il braccio armato della Resistenza pensò di realizzare una nuova forma di resistenza urbana, i cosiddetti GAP, Gruppi d’Azione Patriottica. I GAP erano piccole cellule composte da non più di 4 persone; ciascun Gruppo agiva in maniera del tutto autonoma ed era dislocato in residenze segrete. Le loro azioni dovevano essere operazioni rapide, mirate, condotte contro obiettivi tedeschi e fascisti.
Sinigaglia, a capo dei Gruppi di Azione Patriottica di Firenze, mise in atto una serie di attentati, incluso il primo, quello di San Godenzo, il 7 novembre 1943.
Nel gennaio del 1944, i GAP misero a segno un colpo temerario: alle 19 del 14 gennaio del 1944 fecero esplodere, contemporaneamente, nove ordigni in nove diversi punti della città. A capo di questa azione clamorosa, a cui parteciparono tutti i gappisti fiorentini, c’era Alessandro Sinigaglia.
La reazione tedesca a questa azione fu l’anticipazione del coprifuoco alle 20.00 e il divieto dell’uso delle biciclette, “che non [potevano] essere portate nemmeno a mano, dalle ore 17,30 fino alla fine del coprifuoco.” Ma fu anche la ricerca forsennata di Sinigaglia, responsabile di quell’azione. Lo trovarono perché Sinigaglia commise un’imprudenza. La sera del 13 febbraio 1944 incontrò l’amico Pietro Lari in una trattoria nel centro di Firenze.
Due fascisti della banda Carità, che gli stavano alle calcagna da mesi, lo seguirono dentro il locale: Lari venne immediatamente bloccato, mentre Sinigaglia riuscì a fuggire. Fu preso appena fuori del locale; si divincolò, riuscì a fuggire di nuovo e di nuovo fu preso; tentò ancora di fuggire ma alla fine fu fermato da una scarica di pallottole che lo colpirono a morte. Cadde a terra senza vita in quella via Pandolfini dove oggi è posata la targa che lo ricorda come eroico combattente.
In suo onore la 22a bis Brigata Garibaldi, forte di oltre 650 partigiani combattenti operanti nel fiorentino dal 1944 fino alla Liberazione, prese il nome di “Brigata Vittorio Sinigaglia”.
Nel 1958 il Presidente della Repubblica conferì alla memoria di Alessandro Sinigaglia la medaglia d’argento al valor militare.
Riferimenti bibliografici
Igor Markevitch, Made in Italy, Einaudi 1948
Carlo Francovich, La resistenza a Firenze, La Nuova Italia, Firenze 1962
Settimio Sorani, La partecipazione ebraica alla Resistenza in Toscana e il contributo ebraico nella seconda guerra mondiale, Giuntina, Firenze 1981
Antifascisti nel Casellario Politico Centrale, a cura di Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini et alii, Volume XVII, Quaderni dell’ANPPIA, ANPPIA, Roma, 1992, p. 157
Mauro Valeri, Negro ebreo comunista. Alessandro Sinigaglia, venti anni in lotta contro il fascismo, Odradek, Vicenza 2010
Santo Peli, Storie di GAP. Terrorismo urbano e resistenza, Einaudi, Torino 2017