
Gilberto Coen
Nato a Venezia, entrò in contatto con l’OSS e fece parte della Resistenza a Milano prima di partecipare alla liberazione di Firenze. Morì in un incidente a Fasano, dove si trovava con gli Alleati.
Figlio di Silvio Coen e di Lydia Labi, Gilberto Coen era nato a Venezia il 2 aprile 1920.
Giovane brillante e sportivo, nel 1939, dato che le leggi antiebraiche del fascismo impedivano di iscriversi all’università, fu mandato in Svizzera, a Losanna, per iscriversi alla facoltà di ingegneria chimica.
Sopraggiunta l’occupazione tedesca e proclamata la Repubblica fascista di Salò, i genitori, la nonna Emilia Raffael Labi, la zia Wanda e suo marito, Vittorino De Semo, le sorelle Lilla e Dora, cominciarono ad essere in pericolo di vita. Dopo molti dubbi sul da farsi, il gruppo famigliare decise di tentare la fuga in Svizzera in due tempi diversi. Partirono per primi: la nonna e gli zii. Purtroppo, prima ancora del tentativo di sconfinamento, furono catturati dalla polizia italiana di frontiera a Porto Ceresio e imprigionati, nel carcere di Varese prima, e di San Vittore di Milano, poi. Il 30 gennaio 1944, furono caricati sul treno della morte, diretto al campo di Auschwitz.
Dopo varie tragiche peripezie, il secondo gruppo riuscì, il 12 dicembre 1943, a raggiungere la Svizzera accolto alla frontiera da Gilberto che, alla notizia della cattura della nonna e degli zii, svenne.
Proprio per fare giustizia di quella tragedia, Gilberto rinunciò alla borsa di studio offertagli e decise di avvicinare rappresentanti degli Alleati per arruolarsi. Entrò in contatto con l’OSS americano, l’Office of Strategic Services diretto in Svizzera da Alan Dulles, determinato a reagire in qualche modo al sicuro assassinio dell’adorata nonna.
Del suo proposito era al corrente solo il Professor Alessandro Levi, il grande giurista e umanista, di idee socialiste, cattedratico a Parma, anch’egli esule in Svizzera e amico di famiglia dei Coen.
Ecco che cosa gli scrisse Gilberto l’11 maggio 1944:
“Caro professore, le confermo che la mia decisione è presa e tutti i particolari disposti. Le sono molto grato per le sue care parole e per il suo paterno tentativo di dissuasione, ma so che, infine, anche lei ha capito che ognuno ha la sua strada tracciata, da lungo tempo, dalla propria stella e dal carattere che, volenti o nolenti ci siamo formati. D’altra parte, lei è al corrente della sorte toccata alla mia Nonna che adoravo e ai miei zii che, pure mi erano tanto cari…Tenga presente che per loro, per i genitori, io farò in Gran Bretagna, un corso di aviazione. Tutti gli altri, invece, sanno che andrò a Basilea. Le stringo le mani, caro Professore con dovuta, filiale amicizia, Suo Gilberto C.”
E, di nuovo, tre giorni dopo, il 14 maggio: “Solamente da qualche mese ho imparato ad amarla e stimarla. Ma ho la certezza, meglio averla, che ci rivedremo presto in ben altra situazione. Ho avvertito papà telefonicamente di quanto le avevo già detto. Ma mi sono fatto promettere di non dire niente alla mamma fin quando non fossi già lontano…lei certamente capirà perché voglio evitare alla mamma l’emozione della separazione. Arrivederla, professore: permetta di abbracciarla affettuosamente, suo devotissimo Gilberto Coen”
Gilberto attraversò il confine italo-svizzero dotato di una falsa identità e lavorò con la Resistenza a Milano. In luglio partecipò alla battaglia per la liberazione di Firenze; passò poi definitivamente le linee raggiungendo Roma liberata.
Ma il suo sogno era di farsi paracadutare di nuovo in zona occupata, scese lungo la Penisola e iniziò un corso di paracadutismo presso il comando Alleato a Fasano vicino a Bari. Un tragico incidente – la jeep sulla quale si trovava si rovesciò su una scarpata -, si portò via la sua ardimentosa vita di ventiquattrenne.
Questa è parte della commovente e generosa lettera, datata 16 maggio 1944, che Gilberto aveva scritto ai genitori prima di lasciare Losanna:
“Miei carissimi mamma e papà, carissime sorelle, leggerete questa lettera solamente dopo la mia partenza. Forse sarò allora già arrivato a destinazione, quella destinazione, attesa da anni, che mi permetterà di rifarmi una dignità di uomo vis-à-vis di me stesso. Ho saputo proprio oggi da zia Jole che il convoglio partito da Milano il 30 gennaio è arrivato bene a Teresienstadt con tutti i suoi componenti in buona salute [Il convoglio in realtà fu diretto ad Auschwitz, nome allora sconosciuto ai più, e gli zii e la nonna erano già stati uccisi all’arrivo]. È la Croce Rossa – continua Gilberto – che ha comunicato la notizia. Questo mi ha molto sollevato, anche perché spero che la mamma troverà in questo avvenimento un motivo di fiducia e di speranza, anche se nel medesimo tempo il suo amore di mamma sarà duramente colpito. Ma bisogna che anche tu, mamma, capisca tutto questo: poiché è necessario di inquadrarlo nella durezza atroce dei tempi che viviamo. Ditemi voi: chi, se non io, deve combattere questa guerra? Forse che un giovane inglese, od un americano od un neo-zelandese ha più ragioni di me di prendere le armi in pugno? Tutto ha una suprema logica a cui sarebbe delittuoso volersi sottrarre. Ma siate sereni e fieri di me, che ho avuto tanta fortuna da realizzare le mie sane aspirazioni …Vi abbraccio con tutto l’affetto di cui è capace, il vostro Gilberto”. Postscriptum: “nessuno deve sapere all’infuori della nostra famiglia…Ogni indiscrezione può causarmi danno laggiù”.
Gilberto morì con addosso i suoi documenti falsi, fu sepolto nel cimitero di Fasano come persona sconosciuta. I suoi genitori, dopo la fine della guerra, riuscirono a stento a ritrovarne la salma che è sepolta al cimitero monumentale di Milano sotto il monumento collettivo dedicato “Al sacrificio ebraico”.