
Ludwig Greve
In fuga dalla Germania, rifiutato da Cuba, scappa dalla Francia all’Italia, dove rifugiatosi infine a Lucca verrà aiutato dalla Delasem e da don Arturo Paoli a nascondersi.
I Greve erano una famiglia di commercianti berlinesi, cui tra il 1933 e il 1945, toccarono traversie in vari Paesi, Germania, Francia, Cuba, Italia che, difficilmente, si potrebbe immaginare di poter superare.
Nella Germania nazista dal 1933, a partire dalla salita al potere di Hitler e dell’ostilità antiebraica statale, l’esistenza per gli ebrei si fece sempre più difficile: proclami, restrizioni legali di ogni genere, fino ad arrivare, nel novembre del 1938, a violente manifestazioni, assalti a negozi, arresti indiscriminati di capofamiglia.
Così il giovane Ludwig Greve, non ancora sedicenne, descrive la situazione:
“Hanno portato via mio padre. Io non li ho fermati. Nello stretto corridoio, uomo contro uomo, si sarebbe visto se ero ancora un bambino. Neppure la forza di sbirciare fuori dalla finestra, pure così vicina alla mia scrivania. E dunque sono usciti sul Kaiserdamm, gli impermeabili chiari, lui nel mezzo con il cappello grigio. …Io ero seduto davanti alla frase latina lasciata a metà e non scrivevo più”.
Il padre fu imprigionato in un campo di concentramento, malmenato e rilasciato dopo qualche mese, a condizione che firmasse di lasciare la Germania e le sue proprietà. Si era ancora nel 1938. Dopo il 1941 e l’instaurazione della cosiddetta soluzione finale, le cose non sarebbero più andate così: gli arresti sarebbero stati con tutta la famiglia e la destinazione, i campi della morte in Polonia, in cui difficilmente si poteva sopravvivere.
Vista l’impossibilità di continuare a vivere in Germania, la famiglia cercò un qualsiasi visto di ingresso in qualsiasi Paese accettasse immigrati ebrei.
“Era ormai praticamente impossibile trovare un paese, fosse pure un’isola sperduta o un deserto, disposto ad accogliere ebrei dalla Germania…Quando papà rientrava dalle sue peregrinazioni per consolati e uffici aveva uno sguardo… come se avesse fissato troppo a lungo l’orizzonte vuoto.”
Finalmente trovarono un visto di ingresso a Cuba e un posto sulla nave Saint Louis, che avrebbe dovuto portarli in salvo all’Avana. La nave partì da Amburgo il 13 maggio 1939 con a bordo parecchie famiglie ebraiche in fuga dall’Europa. Giunta nel porto dell’Avana, le autorità locali proibirono ai profughi di sbarcare.
La nave, drammaticamente, fece dietrofront e riportò in Europa i disperati passeggeri che sbarcarono nel porto di Anversa, non ancora occupato dalle armate tedesche, il 7 giugno successivo.
I Greve: padre, madre, una bambina di 14 anni, Evelyn, e Ludwig che, a quel punto aveva 17 anni, si spostarono in Francia, non ancora invasa dalla Germania nazista, dove vennero accolti dalle organizzazioni di soccorso ebraiche, ancora funzionanti. Ludwig, separato dai genitori, fu messo in un istituto retto dall’organizzazione di soccorso ebraica OSE (Organisation pour la Santé et l’Education), assieme ad altri minorenni, nei pressi di Parigi.
All’entrata in guerra dell’Italia e conseguente invasione del Sud della Francia, tutti i cittadini adulti non francesi furono messi davanti a due sole possibilità di scelta: la Legione straniera o le locali compagnie del lavoro, destino che toccò al padre di Ludwig. Lui, invece, assieme agli educatori e agli insegnanti e ad alcuni ragazzi, si dettero alla fuga e ripararono in un villaggio nel sud della Francia, dove rimasero parecchi mesi.
Alla fine di settembre del 1942, Ludwig sfuggì ad una retata, riuscì ad ottenere documenti falsi col nome di Louis Gabier e ad arruolarsi in una rete della resistenza con base a Limoges,
Greve racconta: “alla fine di gennaio del 1943, rintracciai a Limoges i miei genitori che non vedevo da due anni, naturalmente, non avevano né denaro né tessere annonarie ed erano mezzi morti di fame. Intanto mia sorella Evelyn si era ammalata di polmonite e mio padre aveva perso l’udito”.
Nel febbraio del 1943, la famiglia Greve, con Ludwig, fattosi ormai uomo, alla guida, riuscì a raggiungere Nizza, occupata dalle autorità militari italiane, alleate con quelle tedesche.
Da qui furono assegnati a domicilio coatto a Saint Martin De Vésubie ai piedi delle Alpi Marittime. Per qualche mese, finalmente vissero in pace, fino a che, l’8 settembre 1943: un fulmine a ciel sereno! Giunse la notizia dell’armistizio tra Italia ed Alleati e il timore per la prossima occupazione della zona da parte tedesca.
Ludwig Greve, fuggì di nuovo, con la famiglia, da San Martin Vésubie il 9 settembre 1943, arrampicandosi sulla montagna, verso l’Italia. Con i genitori e la sorella, sorpassarono il Colle delle Finestre, a 2.170 metri di altitudine. Giunsero a Valdieri in Val di Gesso, assieme alla marea di fuggitivi che, come loro, avevano attraversato le Alpi, senza sapere che anche dall’altra parte del confine avrebbero incontrato gli occupanti tedeschi.
“Credemmo di essere giunti in un paradiso, ma già il secondo giorno dopo il nostro arrivo comparvero i carri armati con le SS tedesche e annunciarono con gli altoparlanti che tutti i profughi dovevano presentarsi. I contravventori sarebbero stati fucilati. Circa 400 dei nostri compagni di sventura si consegnarono, noi preferivamo morire eventualmente d’inedia e fuggimmo, di nuovo, su per le montagne.”
Vagarono per la montagna sulle alture di Madonna del Colletto tra Valdieri e Festiona in cerca di riparo che, talvolta, veniva loro concesso, talvolta non.
“per giorni andai di villaggio in villaggio tra le montagne, dove i contadini avevano paura del mio accento straniero, fino a che nella frazione di San Michele, comune di Cervasca in provincia di Cuneo, trovai un vecchio contadino di nome Lorenzo Oliveiro che parlava francese e si disse disposto a ospitarci in una rimessa. Qui trascorremmo l’inverno 1943-1944 nutriti dalla bontà della popolazione. Io presi contatti con i partigiani.”
Nel gennaio del 1944, durante un’azione anti-partigiana, i tedeschi lanciarono sul villaggio pezzi di artiglieria. Il padre rimase lievemente ferito, la madre di Ludwig, Johanna, rimase invece gravemente ferita ad un polmone.
Il 1 febbraio 1944, i carabinieri di Cuneo si presentarono nella casa di Oliviero per un controllo, trovarono la signora ferita e dolorante, che mentì dicendo che il marito era fuori casa. Esibì i documenti falsi ottenuti in Francia.
“Si presentasse al comando a Cuneo per ottenere carte annonarie italiane” dissero.
Al ritorno dal solito giro settimanale per mendicare cibo, Ludwig trovò i suoi famigliari bianchi dallo spavento. Pensò che la madre non sarebbe sopravvissuta ad una nuova fuga. Non sapeva che cosa fare. Fu tranquillizzato dal segretario comunale di Cervasca che disse che non c’era nulla da temere, che facessero come i carabinieri avevano detto.
“Così, la mattina dopo, mio padre con mia sorella si mise in marcia su una strada coperta di neve fino al capoluogo di provincia, Cuneo, distante 13 chilometri. Doveva appoggiarsi ad un bastone, era pallido, anche per la recente perdita di sangue. La sera non tornò. Una donna ci portò un biglietto Ci trattengono. Saremo trasferiti a Borgo. Non dimenticherò mai gli occhi sbarrati di mia madre, enormi, asciutti.”
Padre e figlia furono poi tradotti nel campo di Fossoli e da lì deportati ad Auschwitz il 22-2-1944 dove furono uccisi.
“Alcune settimane dopo l’arresto di mio padre e di mia sorella, fui arrestato anch’io a Borgo San Dalmazzo dai carabinieri. Ero stato visto assieme a dei partigiani. Prima di consegnarmi ai tedeschi, decisero di interrogarmi e non so come, li convinsi di essere un buon fascista e mi lasciarono andare. Sapevo che, senza di me, mia madre sarebbe morta. Il parroco di Borgo, mio buon amico, dopo questo incidente, decise per noi che dovevamo allontanarci al più presto”.
Greve si riferisce al Don Raimondo Viale, il prete antifascista, che fu incaricato dall’organizzazione di soccorso ebraica Delasem di cercare ebrei nascosti nei boschi e nelle montagne e far avere loro generi di conforto e denaro per la loro sopravvivenza.
I Greve furono diretti a Lucca dove avevano il nome di un altro sacerdote facente parte della rete Delasem, Don Arturo Paoli degli Oblati del Volto Santo che, con amore e dedizione fece di tutto per rendere più serena la vita dei due fuggitivi. Don Arturo era in contatto con il movimento di Resistenza locale. La madre di Ludwig era sempre sofferente per la ferita riportata nelle montagne di Cuneo, fu accolta e operata nella clinica delle suore Barbantine.
“Io rimasi da don Paoli e dopo un po’ gli chiesi di assegnarmi qualche compito all’interno della Resistenza. Divenni comandante in seconda di un gruppo di giovani partigiani. Scrissi anche dei volantini per i soldati tedeschi in cui, a nome del Comitato di Liberazione Nazionale, li invitavo a passare dalla nostra parte. Circa 30 soldati si arresero ai nostri gruppi in montagna”.
A Lucca, Greve fece anche la conoscenza del capo della Delasem locale, il commerciante ebreo pisano Giorgio Nissim che girava per le campagne con il cappellaccio e la mantella nera dei contadini su una bicicletta scassata a distribuire aiuti agli ebrei nascosti e a trovare nascondigli per quelli che ancora non ne avevano trovati.
Don Arturo Paoli, nel frattempo, procurò una tonaca da prete a Ludwig, gli fece fare la tonsura ai capelli e lo riparò in arcivescovado, dove l’arcivescovo Turrini lo fece passare per il suo segretario. Dopo spaventi e peripezie di ogni genere, compresa una perquisizione tedesca nella casa religiosa, il 7 settembre 1944, finalmente, Lucca fu liberata, prima dai partigiani, poi dalla V Armata anglo-americana.
Nel marzo del 1945 Ludwig e la madre, finalmente guarita, con l’animo fortemente compromesso dalle prove che avevano affrontato, emigrarono in Palestina, cosa non facile a causa del blocco navale inglese.
Ludwig era però sempre tormentato dai suoi fantasmi, dal senso di colpa di aver lasciato deportare padre e sorella: “Nel gennaio del 1950 sono tornato in Germania come rappresentante dei quaccheri americani perché volevo contribuire per parte mia a guarire le ferite della guerra. Volevo capire come fosse potuto accadere che l’assassinio fosse encomiato, la rapina magnificata e la crudeltà premiata.”
L’amicizia di Ludwig Greve con don Arturo Paoli che l’aveva accolto e guarito dal male dell’odio antiebraico durò a lungo. Fra loro intercorse per tutta la vita una intensa corrispondenza. In un passaggio di una delle lettere, così si espresse Greve: “Quando ti incontrai, sapevo al massimo che vi erano al mondo alcuni, pochi, disposti a mettersi dalla nostra parte, pochi prescelti, certo, sebbene ciò avesse ora assunto un senso nuovo e disperato. Io preferisco essere grato per quei pochi, che accusare il mondo – come forse allora inconsciamente facevo – perché erano così pochi.”