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Luigi Fleishmann
Fiumano di nascita, venne rinchiuso a Ferramonti, divenne partigiano in Abruzzo tratteggiando con disegni a penna la sua esperienza nella guerra di Liberazione
«Navelli si può trovare facilmente su una buona carta dell’Abruzzo. È un paese di più o meno duemila abitanti e nella forma non è molto differente dagli altri villaggi di montagna dell’Appennino centrale: si arrampica su di una collina e finisce in cima con il solito castello.
La nostra colonia di internati è variamente composta: siamo tre famiglie di ebrei: Fleischmann, Degen e Billig, una famiglia di inglesi, Osmo-Morris, altre due signore inglesi, e un paio di confinati politici, come Giordano Bruno, un toscano ex-combattente di Spagna, e uno slavo, Dussan.
Il nostro tempo lo passiamo in modo abbastanza monotono, ma sano: di mattina si fanno delle visite qua e là, alle undici c’è l’appello alla tenenza dei carabinieri. Escono, ci guardano, qualche volta ci contano e poi dicono: «Beh! Andate pure».
Al pomeriggio facciamo delle passeggiate sulle colline circostanti, per gole, boschetti e strade, sebbene ci sia proibito uscire oltre le ultime case del villaggio. Ma i carabinieri dicono che siamo pure uomini, e non bestie da tenere in gabbia. (…)
E viviamo così, in una casa di contadini, nella parte bassa e nuova di Navelli, lungo la strada per Capestrano, tra montagne e gente primitiva, tra campi e pecore che vanno al pascolo. E con l’appello giornaliero».
Quelle che avete ascoltato sono le parole dell’adolescente Luigi Fleischmann che con sguardo attento e curioso, subito dopo la Liberazione, scrisse la storia della sua famiglia durante la Seconda guerra mondiale: dall’internamento a Navelli ai rastrellamenti fino alla partecipazione alla lotta partigiana e alla Liberazione.
Luigi Fleishman nacque a Fiume nel 1928 in una famiglia ebraica proveniente in parte dalla Moravia e in parte dall’Austria. Il padre era cantore del Tempio Maggiore e segretario della comunità ebraica di Fiume. Quando la città fu annessa all’Italia, la famiglia Fleischmann acquisì la cittadinanza italiana e con questa pian piano anche la lingua e la cultura del Paese. Tuttavia, nel 1939 le autorità italiane tolsero loro la cittadinanza lasciandoli apolidi e con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940, divennero passibili di internamento in uno dei remoti luoghi d’Italia. Dopo vari spostamenti, nel maggio del 1942, il padre fu trasferito in provincia dell’Aquila in un paesino chiamato Navelli, non lontano dal massiccio del Gran Sasso, dove lo raggiunsero la moglie e i figli. Luigi era un quindicenne triste e annoiato e l’internamento gli impediva di svolgere le attività di ragazzo e di passeggiare al di là dell’area delimitata.
Poi, come per tutta l’Italia, arrivò anche per la famiglia Fleischmann il giorno dell’armistizio. Si poneva la questione di dove andare, verso nord o verso le linee alleate a sud?
Erano momentaneamente liberi dalle autorità italiane, ma il territorio era pieno di tedeschi. Sullo stesso territorio si aggiravano anche soldati dell’esercito angloamericano fuggiti dai luoghi della loro prigionia. Erano in cerca di notizie e di soccorso da parte della popolazione.
La famiglia Fleischmann decise di rimanere a Navelli. Luigi conosceva il tedesco e questo lo rendeva prezioso sia agli occhi dei tedeschi che occupavano la zona, sia agli occhi dei primi partigiani che si stavano organizzando. Venne arruolato come interprete per i tedeschi e i partigiani ne furono contenti perché, in questo modo potevano conoscere i movimenti nemici.
Il 9 ottobre 1943 il giovane ragazzo partecipò alla prima azione: con un gruppo di ragazzi del luogo con i quali aveva iniziato a cospirare contro tedeschi e fascisti, con asini carichi di grandi ceste e vanghe andò a scavare nel cortile abbandonato da una guarnigione di militari italiani fuggiti. I ragazzi trovarono mitragliatici leggere, fucili mitra, casse di munizioni e dopo una faticosa marcia nell’oscurità, scesero un burrone profondo e scosceso e nascosero il prezioso bottino in una grotta.
Poco dopo, dalla radio,nascosta in una delle case di Navelli, si apprese che gli angloamericani avevano attaccato da Sud, cercando di sfondare le linee tedesche. La radio inoltre esortava i cittadini ebrei italiani a porsi in salvo per non cadere nelle mani dei nazifascisti. Tra i contadini circolavano voci spaventose di eccidi, incendi di interi villaggi, saccheggi.
A fine dicembre 1943, il commissario della questura dell’Aquila, Mario De Nardis, si presentò a casa Fleischmann e annunciò che tutti gli ebrei ex internati della zona sarebbero stati arrestati e portati in un campo di transito denominato Fossoli. Come si venne a sapere più tardi, lo scopo di quel rastrellamento era la consegna alle autorità tedesche per la deportazione in Polonia verso il campo di Auschwitz. Il commissario De Nardis suggerì di fuggire al più presto ma trovare un rifugio era difficilissimo se non impossibile, in quel mese infatti era caduta una neve abbondante e il traffico sulle strade e sui viottoli era completamente paralizzato.
Il 24 febbraio 1944 un camion della polizia italiana si presentò in paese con l’ordine di portare via tutti gli ebrei, ex internati, che si trovavano nell’area. Luigi, aiutato dagli amici, riuscì a fuggire precipitosamente tra le viuzze di paese. De Nardis era con i poliziotti e riuscì a far scappare tutti quelli che avrebbe dovuto arrestare, compresi i genitori e il fratello di Luigi. Più avanti, dopo la guerra, la sua condotta gli varrà il titolo di Giusto tra le Nazioni.
A questo punto era davvero impellente scappare e i Fleischmann si procurarono documenti falsi e con il nome “Piccoli” fuggirono a 900 metri di altitudine, in un villaggio di nome Bominaco cui si accedeva per una unica strada sterrata.
Luigi fu chiamato in una località vicina, Caporciano, base di una banda partigiana, dove fu arruolato come staffetta portaordini, ruolo che aveva già svolto durante l’autunno a Navelli. Ormai faceva parte della seconda compagnia della Brigata Gran Sasso. Il capo del gruppo era il famoso Ubaldo Nafissi detto “il Perugino” mentre la sede centrale della banda era all’Aquila, a 37 chilometri di distanza.
Nell’aprile del 1944, i tedeschi iniziarono a fortificare le loro linee e formarono la cosiddetta “linea Gustav” che passava proprio da Navelli e Vicitaretenga. Gli Alleati, intanto, iniziarono il primo lancio di vettovaglie, armi e munizioni, dando un po’ di sollievo, sia ai partigiani che ai loro soldati. Il 10 maggio, finalmente, la quinta armata americana e l’ottava armata inglese attaccano su un largo fronte che, da Cassino lungo il fiume Garigliano, andava fino al mar Tirreno. La banda di Fleischmann si incaricò di alcune azioni di disturbo, fece saltare camionette e tese diverse imboscate.
La reazione tedesca fu violenta e il 21 maggio 1944 organizzarono un grande rastrellamento nel quale caddero la maggior parte delle forze partigiane della zona, tra cui amici e compagni di Luigi. I tedeschi conoscevano la sua identità e presero a battere la zona per cercarlo e Luigi assieme a Ubaldo Nafissi si nascose in una casa in attesa del termine del rastrellamento. Così ricorda quei momenti nel suo diario:
«Ad un tratto il cuore ci si fermò. Sulle pietre della strada, passi ferrati e tintinnio di baionette. I tedeschi! Spegnemmo la luce e Ubaldo afferrò la pistola. Si fermarono, ma, dopo qualche parola che non riuscii ad afferrare, se ne andarono. Dopo altri cinque minuti di silenzio, arrivò il segnale. Ubaldo e io ci precipitammo fuori, nella notte oscura. Camminammo in fretta, curvi, mischiati con l’ombra dei cespugli. Respiravo così affannosamente che il tenente Ubaldo mi ordinò di respirare con la bocca aperta per fare meno rumore col naso. Il luogo dove eravamo diretti era lontano, era un folto bosco in montagna sull’altro versante di questa vallata. Camminammo pesantemente nel fango dei campi e scendemmo verso la pianura. La strada provinciale che si intravedeva nella notte era formicolante di tedeschi in marcia verso le linee del fuoco…. Cominciammo a risalire la montagna brulla entrammo n un bosco e vedemmo sorgere dal terreno improvvisamente, delle masse oscure, avvolte in una nera coperta: erano le sentinelle partigiane».
I partigiani portarono i due compagni dal comandante di un’altra banda, il capitano Giovanni Aloisi e i combattimenti contro i tedeschi continuarono fino alla fine di maggio e per tutto giugno, finché le loro truppe non cominciarono a ritirarsi, incalzati dagli inglesi. Il 12 giugno, alle 14,30, la compagnia di Luigi Fleischmann attaccò Caporciano, il paese era circondato per tre quarti dai compagni partigiani. Le fucilate e il fuoco delle armi automatiche rimbombavano tra le vallate. Luigi combatteva con un fucile sottratto a un tedesco.
Poi, il 21 giugno 1944, arrivò la strabiliante notizia che la brigata Gran Sasso, assieme con elementi della brigata Majella, aveva occupato l’Aquila senza attendere l’avanzata inglese. Per la gente di Abruzzo, la guerra si poteva considerare finita.
Dopo la Liberazione, non ancora ventenne, malgrado il parere contrario dei genitori, Luigi Fleischmann emigrò in Palestina dove visse per tutta la vita, lavorando come trattorista.
Negli anni Novanta, per fortuna, consegnò il suo diario a un amico italiano, Claudio Facchinelli, che provvide a correggerne la forma e a pubblicarlo, rendendo pubblica questa straordinaria testimonianza di coraggio e di resistenza di un ragazzo di appena 16 anni.