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Giorgio Nissim
Nel 1939 era stato il promotore della Delasem - Azione Speciale Bambini. Dal 1943 diresse l'intera rete toscana della Delasem per il soccorso degli ebrei in fuga
Giorgio Nissim, figlio di Achille e Clelia Cardoso Laines, era nato a Pisa il 23 aprile 1908.
Di famiglia non osservante ma legata alla comunità ebraica e alle sue tradizioni, Giorgio Nissim condusse una vita che potremmo definire “normale” fino alla metà degli anni ‘20, o forse addirittura, seguendo proprio le sue memorie, fino al 1938.
Tutta la prima parte della sua vita fu segnata dagli studi di ragioneria e dalle attività dell’azienda di famiglia – una piccola, fiorente industria di tessuti di cui proprio Giorgio, appena diciottenne, dovette occuparsi quando nel 1926 il padre morì.
La vera cesura nella vita di Giorgio Nissim, come per tutti gli ebrei d’Italia, avvenne tra la fine del 1938 e il 1939. Due in particolare furono gli eventi che lo colpirono direttamente, da un lato l’emanazione dei cosiddetti Provvedimenti per la difesa della razza che colpivano tutti i cittadini ebrei residenti in Italia, italiani e stranieri; dall’altro la partecipazione diretta alle attività della Delasem. Delasem era l’acronimo utilizzato per Delegazione per l’Assistenza agli Emigranti. Si trattava di una organizzazione costituita sul finire del 1939 per iniziativa dell’Unione delle Comunità israelitiche italiane. La Delasem aveva la sua sede centrale a Genova e poi filiali diffuse nelle varie Comunità ebraiche italiane. Grazie al supporto dell’American Jewish Joint Distribution Committee la Delasem offriva aiuto e assistenza ai numerosi profughi ebrei “tedeschi, polacchi, iugoslavi, rumeni” che “scacciati ‘nudi e bruchi’ dai loro paesi o fuggiti loro stessi davanti all’avanzare dell’esercito invasore”, cercavano asilo per lo più temporaneo in Italia.
“Non c’era miseria più spaventosa che vedere ebrei, anche benestanti, che per salvarsi la vita avevano dovuto lasciare ogni loro bene, ogni loro radice, nelle mani degli aguzzini […] – scriveva Giorgio Nissim. I bambini, colti di Torah, ma smunti e miseri in ogni altra cosa, con le braccia e le gambe tutte ossa, stringevano il cuore. Se eravamo impotenti come singoli, non lo eravamo più se ci si organizzava. Infatti creando una organizzazione assistenziale, dove c’era una famiglia di profughi ebrei poteva esserci sempre un ebreo italiano che agiva per la Delasem e poteva inviare pacchi di viveri, di vestiario, di denaro e di amore. La Delasem agiva in tutta Italia e anche oltre frontiera.; io ero una piccola pedina, delegato per Pisa, Lucca e Viareggio, desideroso di dare tutto il mio cuore a questa causa”.
Furono proprio le condizioni dei bambini a colpire maggiormente Giorgio Nissim. “In una notte in cui non riusciv[a] a prender sonno” maturò l’idea di un “madrinato”, una sorta di adozione a distanza ante-litteram: ciascun bambino poteva ricevere, da una madrina o da un padrino, a seconda dei casi, ciò di cui aveva maggior bisogno – principalmente indumenti, cappotti e scarpe… – “tanti bambini polacchi che sapevano a menadito le preghiere ebraiche […] e sapevano leggere la Torah, non conoscevano un buon paio di scarpe…” osservava Nissim.
L’idea del madrinato si fece presto concreta e autorizzata dalla dirigenza della Delasem, prese il nome di Delasem – Azione Speciale Bambini; l’abitazione di Nissim, in via Santa Marta a Pisa, ne divenne il quartier generale.
Tutto il periodo che precedette l’8 settembre 1943 fu segnato per Nissim, oltre che dalle attività per la Delasem, anche da un convulso incrociarsi di vicende personali – il matrimonio con Myriam Plotkin – una giovane profuga russa giunta in Italia per proseguire gli studi di medicina – il lavoro, che faticava a trovare, e poi la nascita della prima figlia, la ripresa degli studi di ragioneria a trent’anni ormai compiuti…
I bombardamenti alleati su Pisa della fine dell’agosto 1943 e, poco più tardi, l’annuncio dell’Armistizio, l’occupazione tedesca e l’inizio degli arresti e delle deportazioni di ebrei e oppositori politici furono per Nissim l’inizio di due anni tremendi e, allo stesso tempo, straordinari.
Dovette cercare innanzitutto un ricovero sicuro per sé, la moglie, la figlia e l’anziana madre. Lo trovò, grazie ad una cerchia di amicizie, presso il convento di San Niccolò, a Prato.
Nel frattempo, riallacciò più stretti i contatti con l’organizzazione della Delasem divenuta anch’essa, da un giorno all’altro, un’organizzazione clandestina, impegnata a portare soccorso non più solo agli ebrei profughi, ma anche a tutti gli ebrei italiani in fuga, in cerca di nascondigli, documenti falsi, di viveri e di danaro – per sopravvivere in clandestinità o per pagare spesso anche i passaggi in Svizzera.
Una tale ampiezza di operazioni necessitava non solo di denari, ma anche di una vera struttura organizzativa, naturalmente clandestina. Si formarono dei veri e propri nuclei di soccorso clandestino dislocati fra il nord e il centro Italia. Genova con Massimo Teglio, rimaneva la sede centrale; i nuclei operativi erano distribuiti fra il Piemonte, l’Emilia- Romagna, il Lazio, la Toscana. Giorgio Nissim si mise a disposizione per le zone di Pisa, Lucca e Livorno, mentre Firenze era diventata la centrale toscana della Delasem, grazie al coordinamento e la collaborazione fra il rabbino Nathan Cassutto, il padre domenicano don Cipriano Ricotti e il parroco di Varlungo, don Leto Casini. Avevano formato un vero e proprio comitato di soccorso clandestino del quale anche Giorgio Nissim faceva parte e che rimase operativo fin verso la fine di novembre, quando il rabbino Cassuto venne arrestato. L’irruzione dei tedeschi e la cattura di Cassuto erano avvenuti durante una riunione del comitato clandestino, in via dei Pucci a Firenze. Nissim, che avrebbe dovuto essere a quella riunione, scampò l’arresto solo per via… della cancellazione di un treno:
“Avrei dovuto recarmi a Firenze dove avevamo una riunione del comitato clandestino…la mattina dopo invece vi fu un tremendo bombardamento alleato alla stazione di Vaiano e i treni in transito da Prato per Firenze non giunsero. Cercai ogni mezzo per raggiungere Firenze e dovetti rinunciare per quel pomeriggio a raggiungere il luogo della riunione.
Il giorno dopo, di buon’ora, trovai un mezzo per raggiungere Firenze e riferire sul mio operato. A Firenze avevamo una specie di segreteria, vicino al convento di San Marco, presso una litografia dove trovavamo sempre qualcuno che ci indicava dove era stabilito il luogo del convegno… Avevamo stabilito anche un suono speciale del campanello, due suoni brevi e uno lungo… Tranquillo, mi recai al recapito e feci suonare i soliti tre squilli. Invece di udire qualcuno, al di là della porta, mi rispose l’ululato di un cane; questo ululato mi diede un gran sospetto e senza più insistere, anzi, piuttosto in fretta, mi recai al convento di San Marco da padre Cai. Appena il custode riferì il mio nome che ormai era Niccoli, vidi scendere tre o quattro frati che, senza tanti complimenti, mi trascinarono, quasi di peso al piano superiore. Là, da padre Cai e da padre Colombo, seppi la triste verità: i tedeschi, dietro una spiata, avevano fatto una retata del comitato clandestino al completo…”
In seguito a quel tragico avvenimento, Giorgio Nissim si ritrovò, da solo, a dover gestire la rete di assistenza clandestina per l’intera Toscana.
“Con le mie sole forze avrei dovuto creare di nuovo, da zero, un’organizzazione atta a salvare ebrei italiani e stranieri. Avendo nel cuore tanto timore di non riuscire, mi misi all’opera. […] ero spaventato dall’immane compito che mi era piombato sulla testa: dovevo fare tutto da me, organizzare secondo la mia sola testa che ritenevo tanto inferiore a quella di Raffaele Cantoni o di Nathan Cassuto.”
Nissim stabilì il suo nuovo quartier generale a Lucca, presso l’ex seminario di via del Giardino Botanico, residenza dei sacerdoti dell’ordine degli Oblati del Volto Santo; don Arturo Paoli, don Sirio Niccolai, don Guido Staderini e don Renzo Tambellini, divennero i suoi collaboratori. Qui, presso gli Oblati, si svolgeva tutta la complessa opera di produzione dei documenti falsi e che coinvolgeva varie persone: Ottavio Malanima, per esempio, era l’incisore “vecchio e quasi cieco, ma dal gran buon cuore che lavorava attorno a diversi timbri a secco” e poi c’erano il litografo Guido Angeli di via della Zecca, il signor Favilla, che fungeva da incisore e fabbricava timbri falsi. Il fotografo era l’avvocato Mario Ragghianti dell’Azione Cattolica, i religiosi firmavano, al posto del Podestà, le carte d’identità falsificate”.
Attorno a Nissim si era formata una rete di protezione e soccorso costituita da persone generose e affidabili, di varia provenienza ed estrazione: gente comune come Andrea Cervesi, un insegnante delle scuole professionali che spesso offriva a Nissim ospitalità; esponenti del CLN di Lucca come Giovanni Carignani o Ferdinando Martini che in varie occasioni accolse in casa propria Giorgio Nissim – “arrivava coperto da un largo mantello nero dopo il coprifuoco e parlava con papà di cose importanti”, ricorda Maria Eletta Martini. “Era circondato da un alone di mistero cui fummo introdotti solo noi fratelli più grandi”. E poi c’erano i giovani dell’Azione cattolica, i medici dell’ospedale di Campo di Marte, uomini della resistenza organizzata, come anche varie famiglie dell’aristocrazia locale.
Nissim curava che ciascuno operasse separatamente, conoscendo poco o nulla del resto della rete, così da evitare pericoli per sé stessi o per gli altri. Era riuscito a creare, quasi dal nulla, una macchina organizzativa perfettamente funzionante.
Giorgio Nissim, oltre a tenere le fila di questo sistema di solidarietà, doveva procurarsi principalmente denari e documenti falsi per poi ridistribuirli in tutta l’area toscana. Si spostava in lungo e in largo in bicicletta, come egli stesso ha poi raccontato. Una volta, ricordava, “dopo più di 60 chilometri di bicicletta, una bicicletta vecchia che per fascione anteriore aveva un cerchio di legno con una scanalatura coperta da un pezzo di gomma tubolare, arrivai finalmente alla casa del fattore dove era nascosta mia cugina Matilde Forti. Nel vedermi, egli si mise quasi le mani nei capelli perché gli erano stati consegnati ben sette mandati di cattura a mio nome. Mi rifocillò e mi accompagnò, saltando sulla mia bicicletta, lui davanti e io dietro, nella casa dei suoi parenti dove era nascosta Matilde.”
Tutta questa rete che aveva il suo centro nevralgico nella casa degli Oblati a Lucca funzionò dal gennaio del 1944 fino oltre la metà di agosto. In via del Giardino Botanico si tennero anche riunioni periodiche del Comitato di Liberazione Nazionale che dovettero poi essere sospese per i troppi sospetti che quel via vai di persone cominciava a suscitare anche presso il Comando tedesco. Ciononostante, la casa degli Oblati rimase fino alla fine un punto di snodo delle informazioni circa la resistenza toscana e la liberazione della città.
Lucca venne liberata il 5 settembre 1944, pochi giorni dopo Firenze.
“Non saprei dire con precisione quanti siano gli ebrei salvati dall’organizzazione che avevo costituito con gli Oblati – scrisse Nissim più tardi – ma quando, dopo la liberazione di Lucca, vidi riversarsi in quella città circa 600-700 ebrei, pensai che i rifugiati della zona di Lucca e dintorni, e di tutta la Garfagnana, dovevano essere molti di più di quanti avevo valutato. E, in più, alcune centinaia di profughi erano già giunti a Livorno e a Pisa, liberate prima di Lucca.
[…] Costituii una comunità ebraica a Lucca con gli ebrei che uscivano progressivamente allo scoperto: quelli che avevo assistito io stesso e quelli che da soli avevano trovato rifugio.”
Don Paoli mise a disposizione di Giorgio Nissim e della sua famiglia ormai ricomposta e riunita, un ampio appartamento abbandonato da certi suoi parenti fascisti fuggiti nel nord Italia “per non subire la sorte riservata ai fascisti da parte dei partigiani locali”
L’indirizzo di casa Nissim a Lucca divenne presto “il più conosciuto dagli ebrei di Lucca, di Viareggio e di Pisa, oltreché dai soldati palestinesi e americani e da tutti gli stranieri che sapevano di trovare da noi porte sempre aperte e una signora, mia moglie, in grado di parlare anche il tedesco e l’yiddish”
Proprio in quell’appartamento di via San Paolino a Lucca, ebbero luogo i primi incontri fra Nissim e Yehouda Arazi, capo delle attività in Italia per l’immigrazione clandestina degli ebrei in Palestina, l’Alyia Beth. Ciò che Arazi gli proponeva era di fare da prestanome per l’acquisto delle navi che clandestinamente avrebbero fatto entrare i profughi ebrei nella Palestina ancora sotto l’amministrazione britannica.
E così a Bari Giorgio Nissim acquistò a proprio nome due pescherecci, la “Nettuno” e la “Pietro”, grande come una nave passeggeri sulle quali numerosi profughi liberati dai campi nazisti si imbarcarono per la Palestina.
Nel periodo fra il 1946 e il 1948 Nissim contribuì, questa volta con l’acquisto di armi leggere, alla guerra di indipendenza di Israele.
Dopo il 1948 Giorgio Nissim tornò alla vita di tranquillo cittadino, lasciandosi alle spalle gli anni della guerra, della Delasem, dei pericoli che aveva corso e della salvezza che con le sue azioni, aveva procurato a centinaia di persone.
Negli anni 60, scrisse per i propri figli un lungo memoriale nel quale ripercorre i lunghi mesi della persecuzione, dei pericoli, ma anche della solidarietà che diede e anche ricevette dalle numerose persone che con lui condivisero quei momenti.
Riferimenti bibliografici
Liliana Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia 1943-1945. Ricerca della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Mursia, Milano 2002
Giorgio Nissim, Memorie di un ebreo toscano (1938-1948), a cura di Liliana Picciotto, Carocci, Roma 2005
Lutz Greve, Un amico a Lucca. Ricordi d’infanzia e d’esilio, a cura di Klaus Voigt, Carocci, Roma 2006
Klaus Voigt, Profughi e immigrati nella resistenza italiana, in “La Rassegna mensile di Israel”, vol. LXXIV, n. 1-2, p. 249
Giorgio Nissim nella sua abitazione di via Santa Marta a Pisa, dal 1939 quartier generale della DELASEM – Azione Speciale Bambini che Nissim stesso aveva creato