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Eugenio e Silvia Elfer
Fratello e sorella, triestini di origine, entrambi giovani e promettenti. Legati negli ideali come nelle azioni, si schierarono a fianco degli Alleati per la Liberazione del paese
Eugenio Elfer nacque il 23 settembre 1920, la sorella Silvia invece tre anni più tardi, il 23 giugno 1923. Figli dei triestini Antonio ed Elisabetta Deutsch, si erano trasferiti a Roma prima del 1938.
Eugenio, detto Nino, laureatosi giovanissimo in Scienze politiche, era di animo gentile e di fine intelletto. Scrisse un libro, pubblicato postumo dall’organizzazione sionistica di Roma nel 1946, dal titolo “Invito a Pensare”. In esso si evince quanto Eugenio fosse attaccato all’ebraismo: incitava a lottare per per la sopravvivenza e la difesa dell’identità e della cultura ebraiche, nel mezzo della bufera che stava abbattendosi, in mezzo alla bufera che si era abbattuta sugli ebrei in Europa.
Eugenio pensava infatti che occorresse ravvivare la propria identità ebraica e cercare di formare, tutti quanti insieme, una Nazione. Riconosceva l’impossibilità, a causa delle condizioni obiettive del momento, di creare una nazione nella regione della Palestina, allora sotto il mandato britannico stabilito dalla Società delle Nazioni nel 1920 dopo la caduta dell’Impero Ottomano nella Prima guerra mondiale. Elfer partecipava infatti a quella corrente del movimento sionista che predicava la ricostituzione della Nazione ebraica su qualsiasi territorio fosse possibile. Questa idea era nata in un gruppo all’interno del movimento sionista fin dalle sue origini, alla fine dell’Ottocento, ed essi venivano chiamati “sionisti territorialisti”.
Silvia, la sorella di Eugenio, era una pianista di valore, sebbene le fosse stato impedito di diplomarsi a causa delle leggi antiebraiche. Nella loro casa romana in via Gorizia si ritrovavano spesso intellettuali e antifascisti come Altiero Spinelli, Eugenio Colorni o Fabio Della Seta, futuro giornalista e all’epoca giovane studente della pontificia Università Lateranense, aperta agli studenti ebrei anche dopo il 1938.
Nei giorni della tentata difesa di Roma dai tedeschi, appena dopo l’armistizio dell’8 settembre, Eugenio si attrezzò per il trasporto di armi e viveri ai combattenti di Porta San Paolo. Fu uno dei sette ebrei partecipanti a quella disperata battaglia, insieme a Pacifico Di Consiglio, Elena Di Porto, Giorgio Formiggini, Mario Graziano Terracina, Attilio Levi ed Eugenio Colorni. Proprio in un articolo su quest’ultimo, a firma di Edmondo Cione apparso su “La Stampa” del 29 febbraio 1945, venne ricordato come Elfer accompagnasse Colorni con un camioncino carico di armi e munizioni, mentre questi correva verso i carri armati germanici.
Poco dopo la famiglia Elfer lasciò Roma, per paura dei tedeschi e dei bombardamenti alleati. Si trasferirono nella cittadina medievale di Corvaro, in provincia di Rieti, al confine con l’Abruzzo. Qui Eugenio iniziò immediatamente a lavorare per soccorrere prigionieri di guerra alleati che erano fuggiti dai campi di prigionia italiani. Questi militari erano rimasti intrappolati dietro le linee tedesche, con il rischio che fossero catturati e trasferiti in Germania. Il loro obiettivo era tornare al più presto verso il fronte dell’esercito alleato che stava faticosamente risalendo la Penisola.
I fratelli Elfer, conoscendo le lingue, si dedicarono ad assistere quei militari, bisognosi di cibo, vestiti e indicazioni stradali. Eugenio e Silvia si aggregarono quindi al Raggruppamento partigiano Gran Sasso, che contava varie formazioni e che collaborò con l’VIII armata inglese.
Brian Gordon Lett, un ex militare inglese, in un suo recente libro descrive l’attività dei fratelli Elfer:
“Nino riunì quanti più militari alleati ex prigionieri in fuga e trovò loro posti per nascondersi in grotte delle vicine montagne e in capanne nei boschi. Assistito dalla sorella Silvia, fece in modo che ricevessero cibo, vestiario, medicinali e anche un po’ di denaro”.
Il capitano Frank Roberts, uno dei fuggitivi dell’esercito inglese, racconta come gli Elfer avessero organizzato il soccorso per almeno un centinaio di militari. E secondo il capitano Willson-Lloyd, “Nino” non volle mai nulla in cambio del cibo che distribuiva, neanche le promesse di denaro.
Eugenio non solo proteggeva i fuggiaschi, ma fu anche la loro guida, in prima linea, sul fiume Sangro. Si era procurato infatti una ricetrasmittente, ed era in grado di coordinarsi con il comando alleato. A metà ottobre del 1943 guidò verso il fiume un gruppo di ufficiali alleati, tra cui un certo generale Thomson dell’esercito indiano britannico. Furono però colti dai tedeschi, e ci fu uno scontro a fuoco con morti e feriti. Nino riuscì a portare in salvo in una grotta ciò che rimaneva del gruppo. Da allora fu arruolato nell’esercito inglese come tenente.
Anche il maggiore Leslie Young, fuggito dal campo di prigionia di Fontanellato, vicino Parma, una volta giusto a Corvaro, venne aiutato dagli Elfer. Ricevette da loro vestiario, stivali e persino una somma di denaro. L’inverno del 1943 fu durissimo, e Young soffrì di polmonite. Grazie agli Elfer fu però ricoverato in una capanna di pastori per tutto dicembre del 1943, fino alla terza settimana di gennaio del 1944 quando si riprese a sufficienza per poter proseguire. La vicenda è ricordata dal figlio di Leslie, Nicolas, che 60 anni dopo la fine della guerra ritrovò un taccuino del padre, e che nel 2017 fece un viaggio in macchina con la moglie ripercorrendo la strada fatta dal padre da Fontanellato ad Anzio, ultima tappa della fuga di Leslie Young, ringraziando lungo il percorso le comunità locali che aiutarono suo padre. Nicolas ci racconta cosa c’era scritto nel taccuino, riguardo alla sorte dei fratelli Elfer:
“[Mio padre] stava viaggiando con un vivace neozelandese di nome Charlie Gatenby e insieme attraversarono le nevi degli Appennini nel gennaio del ‘44 diretti verso il fronte degli Alleati ad Anzio. Dopo aver atteso il Natale in un villaggio chiamato Corvaro, erano ansiosi di completare l’ultima parte del viaggio, ma ovviamente erano in dubbio su quale strada prendere e su come aggirare le pattuglie tedesche e i campi minati. Il diario di mio padre dice solo che incontrarono due italiani, fratello e sorella, e che insieme decisero di provare a passare. In seguito ho scoperto, dalla figlia di Charlie, che la sorella si chiamava Silvia Elfer, e che ci fu un terzo membro italiano del gruppo, il conte Carlo Trevini, che diceva di essere un agente britannico. Se la videro davvero brutta: nella neve e sotto una pioggia gelida, una mitragliatrice tedesca li sorprese mentre attraversavano a carponi un campo minato tedesco, il conte fu colpito a morte. Proseguirono a carponi e mentre raggiungevano la fine di un campo minato americano furono attaccati di nuovo: Silvia fu colpita alla gola. In qualche modo, mio padre e Charlie, che pure fu ferito, riuscirono a farsi sentire. Il fuoco cessò e Silvia e Charlie vennero trasportati di corsa a un ospedale americano, dove tragicamente Silvia morì.”
Eugenio si era invece ritrovato separato dal gruppo, con cui perse ogni contatto. Si sperò che fosse fuggito, in realtà, venti giorni dopo si venne a sapere che era rimasto ucciso in circostanze ignote. Il suo corpo venne sepolto a Borgo Podgora, nei pressi di Latina. Venne fatto riesumare dalla madre il 26 agosto 1945 successivo e seppellito al cimitero ebraico.
I genitori, Antonio e Elisabetta Elfer, quando vennero a sapere che entrambi i loro figli erano morti, furono devastati dal dolore. Antonio Elfer morì pochi mesi dopo. Elisabetta Elfer accettò il risarcimento offertole dalla Commissione Alleata per donarlo poi alla Fondazione per gli orfani di guerra, in memoria dei suoi figli; istituì anche borse di studio per alunni della scuola ebraica.
I militari britannici aiutati durante la Seconda guerra mondiale dalla popolazione e da coraggiosi partigiani italiani non hanno mai dimenticato questi fatti. Nicolas Young istituì nel 2010 il Monte San Martino Trust, un’istituzione benefica britannica che distribuisce borse di studio a ragazzi residenti nei luoghi attraversati dal padre Leslie durante la sua fuga, dal campo per prigionieri di guerra di Fontanellato fino alle linee Alleate. Alla memoria di Eugenio e Silvia Elfer è stata concessa medaglia garibaldina e il King’s Commendation.
Eugenio Elfer tra l’8 e il 10 settembre 1943 prese parte alla battaglia di Porta San Paolo a Roma per contrastare l’occupazione tedesca della città